31.07.2017
Messa a fuoco in questa sentenza della Corte di Cassazione la figura del presidente del Consiglio di amministrazione di una società e evidenziati la sua posizione di garanzia in materia di salute e sicurezza sul lavoro e i suoi obblighi nei confronti dei lavoratori dipendenti. Su un ricorso presentato dal presidente del CDA a seguito di una condanna allo stesso inflitta dal Tribunale e confermata dalla Corte di Appello per l’infortunio di un lavoratore dipendente, ricorso basato sul fatto di non avere nessun potere decisionale e di spesa essendo questo riservato ad una società sovranazionale, la suprema Corte ha avuto modo di sostenere e ribadire che il presidente del Consiglio di amministrazione di una società nonché rappresentante legale della stessa riveste comunque, agli effetti degli obblighi di sicurezza, la figura di datore di lavoro e di titolare di un posizione di garanzia oggettiva e ineludibile in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro che nella circostanza del caso portato all’attenzione della Cassazione avrebbe dovuto portarlo ad intervenire per rendere sicura una macchina presso la quale si era infortunato il lavoratore.
Il fatto, l’iter giudiziario e il ricorso in cassazione
Il Tribunale ha condannato il presidente del Consiglio di amministrazione di una s.r.l. alla pena di 300 euro di multa per il reato di cui all'art. 590 commi 1, 2 e 3 perché, quale legale rappresentante della società stessa, aveva cagionato a un dipendente, addetto alla linea di spalmatura, lesioni personali dalle quali derivava una malattia giudicata guaribile in quaranta giorni, per colpa consistita in negligenza, imprudenza, imperizia nonché inosservanza di norme in materia di igiene e sicurezza sul lavoro, avendo lo stesso omesso di provvedere affinché la zona di carico della pasta in lavorazione della macchina spalmatrice fosse provvista delle necessarie protezioni atte ad impedire l’accesso dei lavoratori alle pale di miscelazione interne alla tramoggia stessa e ciò con la conseguenza che, dovendo il lavoratore controllare il funzionamento del suddetto macchinario inserendovi una paletta metallica per rimuovere la pasta che aderiva alle pareti, lo stesso veniva afferrato dalle pale in movimento rimanendo con l’avambraccio sinistro bloccato all'interno della tramoggia.
Proposto appello dall’imputato, la Corte di Appello, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, ha concesso allo stesso il beneficio della non menzione della condanna nel certificato del casellario spedito a richiesta dei privati.
Avverso tale sentenza il difensore dell’imputato ha proposto ricorso per cassazione deducendo violazione di legge in punto di individuazione del soggetto da considerarsi datore di lavoro ai sensi della D. Lgs. 81/2008 e, di conseguenza, responsabile ai fini della condotta colposa di cui all’art. 590 c.p..
A detta della difesa, infatti, l’imputato rivestiva la carica di rappresentante legale di una società italiana controllata da una multinazionale americana e non prendeva certo le decisioni relative alla struttura produttiva né aveva i relativi poteri di spesa o di assunzione/nomina dei vari organi dirigenti responsabili, scelte quest’ultime tutte riservate ad organi societari sovranazionali.
I giudici di merito inoltre, secondo la difesa, non avevano considerato tale profilo sostenendo che, comunque, l’imputato avrebbe potuto, con i fondi a sua disposizione, porre in sicurezza il macchinario presso cui si era infortunato il lavoratore evitando, così, il verificarsi dell’evento lesivo. Tale conclusione non era stata però condivisa dalla difesa perché era partita dall’erroneo presupposto che l’imputato potesse in qualche modo influire sulla scelta delle strategie aziendali in tema di sito produttivo e sicurezza. Lo stesso anzi, ha precisato la difesa, era tenuto all’oscuro e non aveva alcun potere di spesa in relazione all’attività produttiva per cui, stando così le cose, non si poteva certo riconoscere alcuna responsabilità colposa a carico dell’imputato per l’infortunio verificatosi ai danni del lavoratore.
Le decisioni della Corte di Cassazione
Il ricorso è stato ritenuto infondato dalla Corte di Cassazione che lo ha pertanto rigettato. Anche ritenendo veritiera la tesi della difesa, ha sostenuto la suprema Corte, secondo la quale al ruolo di presidente del CDA rivestito dall’imputato non corrispondevano adeguati poteri in tema di sicurezza a causa della particolare struttura della società controllata da una multinazionale americana, non si poteva ammettere che lo stesso andasse esente da responsabilità per l’infortunio in oggetto in quanto “la sua veste di presidente del CDA e di amministratore delegato lo rende agli effetti degli obblighi di sicurezza ‘datore di lavoro’ titolare di una posizione di garanzia oggettiva ed ineludibile in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro”.
Peraltro, ha concluso la Sez. IV, dall’istruttoria era emerso che fino a qualche tempo prima dell’infortunio vi erano state delle deleghe in materia di sicurezza che erano scadute all’epoca dell’incidente con conseguente ripristino in capo all’imputato del ruolo di responsabile della sicurezza discendente dalla sua qualifica di legale rappresentante della società italiana e, perciò, di datore di lavoro. Del resto più volte dalla Corte di Cassazione è stato affermato che, in materia di infortuni sul lavoro, la responsabilità dell’amministratore di una società, in ossequio alla posizione di garanzia che gli è attribuita dalla legge, non viene meno per il fatto che il ruolo rivestito sia solo apparente.
Gerardo Porreca