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28.03.2025

La nomina del preposto può escludere la responsabilità del datore di lavoro?

Secondo un insegnamento della cassazione, la designazione di un preposto al rispetto delle misure di prevenzione non esonera il datore di lavoro da responsabilità ove risulti l'inidoneità di una misura prevista nel documento di valutazione dei rischi.

 

L'addebito colposo a carico del  datore di lavoro per l’assenza nel piano operativo di sicurezza di specifici riferimenti a un rischio che si è poi concretizzato può essere messo in discussione dalla nomina di un preposto del cantiere? È la domanda alla quale ha dato riscontro la Corte di Cassazione in questa circostanza chiamata a decidere su di un ricorso presentato dal datore di lavoro di un’impresa esecutrice condannato nei due primi gradi di giudizio per l’infortunio accaduto in un cantiere edile a un lavoratore infortunatosi per essere stato colpito da una scheggia all’occhio sinistro nel mentre nella fase di casseratura era impegnato nelle operazioni di battitura di un cuneo mediante un martello. L’accusa che gli era stata mossa era stata quella di non aver indicato nel piano operativo di sicurezza i rischi derivanti dalla proiezione di schegge, per aver omesso altresì di informare e formare i lavoratori in ordine a tale rischio specifico e, infine, per non aver adottato idonee misure di protezione come ad esempio l’utilizzo degli occhiali di protezione previsto invece soltanto nel caso del taglio di oggetti.

 

Il datore di lavoro ha ricorso per cassazione giustificando il proprio comportamento con il fatto che al momento dell'infortunio la sua impresa gestiva otto cantieri di grandi dimensioni, dislocati su tutto il territorio nazionale, che comunque la complessità organizzativa della sua azienda lo aveva indotto a nominare per la vigilanza nei singoli cantieri di un preposto al quali aveva demandato tutti gli obblighi di cui all'art. 19 del  D. Lgs. 9 aprile 2008, n. 81 e che ancora con riferimento all’accaduto era il preposto che avrebbe dovuto quindi segnalare gli specifici rischi insorti nelle fasi di lavorazione e la necessità di modificare il piano operativo di sicurezza.

 

Non si è dichiarata d’accordo su tale posizione la suprema Corte la quale ha considerato inammissibile il ricorso sostenendo che, secondo un insegnamento della stessa Corte, la designazione di un preposto al rispetto delle misure di prevenzione non esonera il datore di lavoro da responsabilità ove risulti l'inidoneità di una misura prevista nel documento di valutazione dei rischi. Nel caso in esame d’altra parte, ha aggiunto la Corte di Cassazione, il rischio concretizzatosi che ha portato all’infortunio non aveva riguardato una contingenza propria di una fase esecutiva della lavorazione, che come tale avrebbe dovuto suggerire una modifica del piano operativo di sicurezza, come sostenuto nel ricorso, ma piuttosto a scelte proprie del datore risultate essere ab origine carenti.

 

Il fatto, l’iter giudiziario, il ricorso per cassazione e le motivazioni.

La Corte di Appello ha confermata la sentenza con la quale il Tribunale, in composizione monocratica, aveva ritenuto il titolare di una impresa esecutrice responsabile del reato di cui all'art. 590, comma 3, cod. pen. e, concesse le attenuanti generiche in regime di equivalenza, lo aveva condannato alla pena di 2 mesi di reclusione, condizionalmente sospesa.

 

Secondo la concorde ricostruzione dei giudici di merito, un lavoratore dipendente dell’impresa era impegnato in operazioni di battitura di un cuneo, quando una scheggia lo aveva colpito all'occhio sinistro, cagionandogli le lesioni di cui alla imputazione. L'imputato era stato ritenuto responsabile delle lesioni colposamente prodotte al lavoratore per non aver indicato, nel piano operativo di sicurezza, i rischi derivanti dalla proiezione di schegge, per aver omesso di informare e formare i lavoratori in ordine a tale rischio specifico e, infine, per non aver adottato idonee misure di protezione.

 

Avverso tale sentenza l’imputato ha proposto ricorso per cassazione, a mezzo del proprio difensore, lamentando in sintesi, ai sensi dell'art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen., quanto di seguito riportato.

 

Lo stesso con un primo motivo ha dedotto una violazione della legge penale sostanziale e un vizio di motivazione (art. 606, comma 1, lett. b ed e, cod. proc. pen.), con riguardo alla prevedibilità della situazione di pericolo. Ha fatto inoltre osservare, in particolare, che al momento dell'infortunio la società gestiva otto cantieri di grandi dimensioni, dislocati su tutto il territorio nazionale e che tale complessità organizzativa lo aveva indotto a nominare dei preposti per la vigilanza nei cantieri, cui aveva demandato tutti gli obblighi di cui all'art. 19 del  D. Lgs. 9 aprile 2008, n. 81. È il preposto, quindi, secondo il ricorrente, che avrebbe dovuto segnalare gli specifici rischi insorti nelle fasi di lavorazione, nonché la necessità di modificare il piano operativo di sicurezza.

 

D'altra parte, ha evidenziato ancora, una specifica previsione circa l'utilizzo degli occhiali di protezione nel caso di utilizzo di un martello non era prevista nemmeno nel piano di sicurezza redatto dalla impresa appaltante, a conferma del fatto che si trattasse di una situazione di pericolo imprevedibile  confermata dalla circostanza per cui, sebbene quella stessa attività venisse svolta regolarmente, mai si erano verificati incidenti analoghi.

 

Con un secondo motivo il ricorrente ha dedotto una erronea applicazione della legge penale sostanziale e vizio di motivazione, per avere la Corte ritenuto insussistente la causa di non punibilità di cui all'art. 131-bis cod. pen. La Corte territoriale, infatti, secondo lo stesso, non aveva preso in considerazione né l'avvenuto risarcimento del danno, né il successivo adeguamento del piano operativo di sicurezza, né il fatto che le lesioni, seppur gravi, non si erano risolte in postumi invalidanti per il lavoratore.

 

Con un terzo motivo si è lamentato per l'illogicità della motivazione nella parte in cui la Corte territoriale, pur avendo concesso la sospensione condizionale della pena detentiva, ne ha poi negato la conversione in quella pecuniaria, sostenendo che non avrebbe potuto svolgere la funzione rieducativa.
 

Le decisioni in diritto della Corte di Cassazione.

Il ricorso è stato considerato inammissibile da parte della Corte di Cassazione.

L’imputato, ha sostenuto la suprema Corte, quale titolare dell'impresa esecutrice, avrebbe dovuto, ai sensi dell'art. 96, comma 1, lett. g), del  D. Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, redigere il piano operativo di sicurezza di cui all'art. 89, comma 1, lett. h), dello stesso decreto, comprensivo delle misure preventive e protettive, integrative rispetto a quelle contenute nel piano di sicurezza e coordinamento, da adottare in relazione ai rischi connessi al cantiere ove si era verificato l'infortunio del lavoratore. Egli avrebbe dovuto valutare i rischi derivanti dalla proiezione di schegge nelle lavorazioni in cui era previsto l'uso di un martello (come nella fase di casseratura in cui si era verificato l'incidente), e quindi adottare le conseguenti misure di sicurezza, come ad esempio l'utilizzo degli occhiali di protezione, che invece era previsto soltanto nel caso di taglio di oggetti.

 

Si trattava, del resto, di una attività che poteva essere svolta solo con quelle modalità, e che proprio con quelle modalità veniva periodicamente ripetuta dai lavoratori i quali neppure erano stati specificamente formati sui rischi connessi, con conseguente ulteriore violazione delle regole in materia di sicurezza. Nella redazione del piano operativo il datore è quindi venuto meno all'obbligo di valutare i rischi legati alle lavorazioni da effettuare all'interno dello specifico cantiere.

 

Secondo la Corte di Cassazione, inoltre, l'assenza nel piano operativo di sicurezza di specifici riferimenti al tipo di rischio che si è poi concretizzato, ed il conseguente addebito colposo, non possono essere messi in discussione, come avrebbe preteso il ricorrente, dalla nomina di un preposto per quel cantiere. Secondo il consolidato insegnamento della Corte di cassazione, la designazione di un preposto al rispetto delle misure di prevenzione non esonera il datore di lavoro da responsabilità ove risulti l'inidoneità di una misura prevista nel documento di valutazione dei rischi.

 

Nel caso in esame, d’altra parte, il rischio concretizzatosi non era stato dovuto ad una contingenza propria di una fase esecutiva della lavorazione, che, come tale, avrebbe dovuto suggerire una modifica del piano operativo di sicurezza (come immotivatamente sostenuto in ricorso), ma piuttosto a scelte proprie del datore, che si è accertato essere ab origine carenti. Né ha giovato al ricorrente l'osservazione secondo cui una specifica valutazione del rischio derivante dalla proiezione di schegge non era contenuta nemmeno nel piano redatto dall'impresa appaltante: ciò sia per le ontologiche differenze rispetto al piano operativo di sicurezza, sia perché, come evidenziato dai giudici di merito, il primo conteneva, a ben vedere, una previsione di carattere generale, relativa alla realizzazione delle strutture in elevazione, con previsione dell'uso degli occhiali di protezione.

 

D'altra parte, ha così proseguito la Sezione IV, il piano operativo di sicurezza deve contenere non solo la valutazione dei rischi a cui sono sottoposti i lavoratori, ma anche l'individuazione delle misure di prevenzione e protezione, integrative rispetto a quelle contenute nel PSC quando previsto, adottate in relazione ai rischi connessi alle proprie lavorazioni in cantiere.

 

Da tali ultime considerazioni, e dal fatto che la condotta del lavoratore rientrava nelle ordinarie fasi di lavorazione previste per la posa in opera di strutture in cemento armato (circostanza con cui il ricorso ha omesso ogni confronto), i giudici hanno motivatamente tratto la conclusione che il rischio concretizzatosi fosse pienamente prevedibile.

 

Il ricorrente, inoltre, ha osservato la Corte di Cassazione non ha affrontato in alcun modo l'ulteriore profilo su cui si fonda l'affermazione di responsabilità, ovvero quello relativo alla mancata formazione. Per quest'ultimo aspetto è sufficiente ricordare che il datore di lavoro che non adempie agli obblighi di informazione e formazione gravanti su di lui e sui suoi delegati risponde, a titolo di colpa specifica, dell'infortunio del lavoratore, e ciò anche quando, contrariamente a quello che è stato accertato nel caso in esame, derivi da negligenza nello svolgimento delle proprie mansioni atteso che è proprio attraverso l'adempimento di tale obbligo che il datore di lavoro rende edotti i lavoratori dei rischi specifici cui sono esposti. Pertanto, allorquando il datore, come nel caso in esame, non ha adempiuto a tale fondamentale obbligo, sarà chiamato a rispondere dell'infortunio occorso al lavoratore, nel caso in cui l'omessa formazione possa dirsi causalmente legata alla verificazione dell'evento.

 

Per quanto riguarda poi la mancata applicazione dell'art. 131-bis cod. pen.1.2, la Corte di Appello ha escluso l'applicazione di tale articolo con riguardo al giudizio sulla offesa, ritenuta non tenue, e ciò in ragione della durata della invalidità temporanea derivata dall'infortunio sul lavoro. Nel testo del provvedimento impugnato sono emersi ulteriori indicatori della gravità dell'offesa, in ragione sia delle molteplici norme violate in tema di sicurezza nel lavoro, sia della vistosa carenza del piano operativo di sicurezza (rispetto ad un rischio relativo ad una operazione compiuta con regolarità dai lavoratori). Il diniego è stato quindi fondato sulla impossibilità di riconoscere al fatto, così come accertato, quel minimo disvalore richiesto affinché possa operare la causa di non punibilità di cui all'art. 131-bis cod. pen.

 

Per quanto riguarda infine il terzo motivo di ricorso, il diniego della conversione, ha fatto osservare la suprema Corte, è stato fondato sulla analisi dei criteri indicati dall'art. 133 cod. pen., valorizzando in particolare la presenza di precedenti penali, anche specifici, e la pregressa concessione della sospensione condizionale, sottolineandone l'inefficacia sul piano della prevenzione. Da tali indicatori, con motivazione non manifestamente illogica, hanno ritenuto di formulare, in ordine alla invocata sostituzione con la pena pecuniaria, una valutazione negativa quanto alla rieducazione del reo.

 

La Corte di Cassazione, in conclusione, ha dichiarato inammissibile il ricorso e, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte cost. sent. n. 186/2000), ha condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al pagamento della sanzione pecuniaria, che ha stimato in tremila euro.

 

 

Gerardo Porreca

 

 

Corte di Cassazione Sezione IV penale - Sentenza n. 2021 del 17 gennaio 2025 (u. p. 16 ottobre 2024) -  Pres. Dovere  – Est. Lauro – PM Esposito – Ric. A.A..  - Secondo un insegnamento della cassazione, la designazione di un preposto al rispetto delle misure di prevenzione non esonera il datore di lavoro da responsabilità ove risulti l'inidoneità di una misura prevista nel documento di valutazione dei rischi.

 





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