25.10.2024
In caso di infortunio di un dipendente, la condotta del datore di lavoro che non abbia sorvegliato sull’instaurarsi di una pericolosa prassi operativa integra il reato di omicidio o lesioni colpose aggravato dalla violazione delle norme antinfortunistiche
In tema di prevenzione infortuni sul lavoro il datore di lavoro deve controllare che il preposto, nell'esercizio dei compiti di vigilanza affidatigli, si attenga alle disposizioni di legge e a quelle, eventualmente in aggiunta impartitegli, per cui ne consegue che, qualora nell'esercizio dell'attività lavorativa si instauri, con il consenso del preposto, una prassi "contra legem" foriera di pericoli per gli addetti, nel caso dell’infortunio di un lavoratore dipendente, la condotta del datore di lavoro che sia venuto meno ai doveri di formazione e informazione del lavoratore e che abbia omesso ogni forma di sorveglianza circa la pericolosa prassi operativa instauratasi, integra il reato di omicidio o lesioni colpose aggravato dalla violazione delle norme antinfortunistiche.
A una conclusione analoga era già giunta la stessa Sezione IV penale della Corte di Cassazione in una sentenza depositata in Cancelleria appena una settimana prima di questa in commento e cioè nella sentenza n. 23648 del 13 giugno 2024 (u. p. 6 marzo 2024), pubblicata e commentata dallo scrivente nell’articolo " L'obbligo di impedire l'instaurarsi di prassi di lavoro non sicure". In quella occasione la sentenza aveva riguardato l’infortunio di un lavoratore dipendente di una azienda che era stato investito da una cassaforma in cemento armato movimentata da un mezzo meccanico manovrato proprio dal preposto, a carico del quale erano stati quindi ravvisati profili di colpa per avere consentito al lavoratore di issarsi sopra il manufatto per agganciarlo alla catena di una gru, seguendo così una metodica di lavoro in contrasto con qualsiasi regola di prudenza, stante il rischio di ribaltamento, ed espressamente vietata dalle prescrizioni datoriali. In questa circostanza invece l’evento ha riguardato l’infortunio di un lavoratore rimasto schiacciato da un miniescavatore ribaltatosi lateralmente, nel mentre si stava provvedendo a caricarlo su di un mezzo, avvenuto a causa di una rampa non idoneamente fissata allo stesso, seguendo una prassi “contra legem” contraria alla normale procedura prevista per l’effettuazione di tale operazione.
Assolti dal Tribunale il presidente del CdA della società che gestiva l’azienda nonché il vice presidente, responsabile tecnico dell’azienda stessa, avendo il giudice attribuito l’accaduto esclusivamente al comportamento dei lavoratori durante il carico del miniescavatore, gli imputati sono stati invece condannati dalla Corte di Appello, che aveva attribuito l’accaduto a un mancato controllo di tale comportamento, e si sono poi visti rigettare anche il successivo ricorso alla Corte di Cassazione con il quale avevano chiesto l’annullamento della sentenza di condanna.
Il fatto e l’iter giudiziario.
Il Tribunale, in composizione monocratica, ha assolto il Presidente del Consiglio di Amministrazione di una società e il vicepresidente, responsabile tecnico della stessa, in ordine al reato di cui agli artt. 113, 81 e 589 cod. pen.. La sentenza del Tribunale è stata però totalmente riformata dalla Corte d'Appello che ha invece condannato i due imputati alla pena di un anno e tre mesi di reclusione ciascuno. Agli imputati era stato contestato dalla Corte territoriale di aver cagionato per colpa la morte di un lavoratore dipendente escavatorista che, nel corso di alcuni lavori per la posa in opera di cavi di fibra ottica, aveva riportato, durante la fase di sgombero del cantiere, gravi lesioni cranio encefaliche in esito al ribaltamento di un "bobcat" avvenuto mentre lo stesso veniva caricato su un camion. Agli imputati, in particolare, era stato rimproverato, in punto di colpa specifica, la violazione degli artt. 36 comma 2 lett. a) e 37 comma 1, e 73 comma 4 del D. Lgs. n. 81/2008, per aver omesso di dare adeguata informazione e formazione sui rischi specifici connessi alle attività di carico e scarico del miniescavatore con l'ausilio delle rampe di carico, per non aver fornito corretta formazione ed informazione in ordine all'utilizzo di escavatori e rampe di carico, costituenti attrezzature di lavoro richiedenti conoscenze particolari, nonché dell'art. 17 del D. Lgs. n. 81/2008 per non aver valutato i rischi della lavorazione consistente nell'attività di carico e scarico del miniescavatore dal camion con l'ausilio delle apposite rampe di carico.
Il Tribunale aveva considerato che l'istruttoria dibattimentale non aveva consentito di giungere con certezza alla effettiva ricostruzione dei fatti che avevano condotto al decesso del lavoratore. Lo stesso, infatti, secondo tutti i testimoni escussi in giudizio, si trovava alla guida del bobcat quando il mezzo era caduto durante l'operazione di carico, rovesciandosi su un lato a seguito del quale poi era stato sbalzato dall'abitacolo; secondo la consulenza del PM, invece, il lavoratore non si sarebbe trovato alla guida del bobcat, che gli era precipitato addosso colpendolo con la benna, ma si trovava invece nel cantiere a poca distanza dal punto dell’accaduto. Il primo giudice aveva comunque ritenuto che, qualsiasi fosse stata l'ipotesi ricostruttiva, non poteva dirsi dimostrato il nesso eziologico tra le omissioni contestate agli imputati e l'evento.
Secondo il Tribunale, in particolare, accedendo all'ipotesi per cui il lavoratore fosse stato alla guida del mezzo, lo stesso aveva tenuto una condotta imprudente, consistita nel mancato uso della cintura di sicurezza e nella guida del bobcat con la benna in avanti, che ne aveva determinato lo sbilanciamento. Comunque anche nel caso della ipotesi ricostruttiva dell'infortunio indicata dal CT del PM, il predetto lavoratore non solo si era trovato in una zona adibita al passaggio di mezzi in movimento, ma per di più era transitato sul cantiere senza indossare i dispositivi di protezione individuale, quali il casco, che lo avrebbe protetto dall'impatto mortale. Posto inoltre che erano stati dimostrati l'avvenuta formazione dei lavoratori nonché l'adempimento degli obblighi di sicurezza da parte del datore di lavoro, le conseguenze mortali dell'infortunio quindi erano da ascrivere esclusivamente al lavoratore stesso.
La Corte d'Appello ha invece ribaltata la decisione del primo giudice escludendo, in primo luogo, che il lavoratore si trovasse alla guida del mezzo al momento del ribaltamento, alla luce della ricostruzione effettuata dal CT del PM e dal medico legale. Il CT, infatti, aveva rilevato in particolare, che la caduta dalle rampe del bobcat non avrebbe potuto determinare lo sbalzamento del lavoratore, come sostenuto dai testimoni, poiché il bobcat procedeva troppo lentamente per determinare il suo sbalzo all'esterno ad una distanza di 5 metri; il lavoratore, inoltre, avrebbe riportato danni in altre parti del corpo mentre egli era deceduto per un colpo alla nuca, plausibilmente riportato a seguito di una caduta all'indietro dopo essere stato colpito al volto che presentava difatti il segno di un bullone della benna.
La Corte territoriale ha quindi determinato che il ribaltamento del miniescavatore fosse stato causato da una serie di fattori quali l'erroneo carico del bobcat con la benna in avanti e lo scorretto fissaggio delle sponde al pianale dell'autocarro. Ha evidenziata inoltre l'assoluta mancanza di formazione dei lavoratori, secondo cui era prassi non fissare le rampe di carico, nonché la mancata previsione, da parte del POS dell’azienda, della valutazione dei rischi per la fase di scarico e carico dei mini escavatori, nonché l'assenza di prova circa l'avvenuta frequentazione di appositi corsi, da parte degli operai addetti, in ordine alla corretta esecuzione delle procedure di carico e scarico dei miniescavatori. I giudici di merito avevano quindi osservato che il ribaltamento del mezzo si era certamente verificato a causa della scorretta esecuzione della manovra di carico con la benna in avanti e del difettoso fissaggio della rampa; che, in seguito al ribaltamento, il lavoratore era stato colpito mortalmente; che l'assenza di formazione e di valutazione del rischio connesso all'operazione avevano, quindi, provocato l'infortunio, atteso che, se la procedura fosse stata eseguita correttamente, l'evento non si sarebbe verificato.
Il ricorso per cassazione e le motivazioni.
I due coimputati hanno proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte d'Appello, a mezzo del difensore di fiducia. Lo stesso si è lamentato per il fatto che la Corte territoriale non aveva fornito alcuna motivazione in ordine alle ragioni della ritenuta mancanza di formazione e informazione dei lavoratori sulle operazioni di carico e scarico del miniescavatore; in particolare disattendendo totalmente, senza nemmeno farne menzione, le prove documentali e testimoniali acquisite al giudizio, quali il documento di valutazione dei rischi dell’azienda, il POS, che conteneva tutte le procedure per eseguire le operazioni; l'attestato di partecipazione della vittima al corso di formazione riguardante la procedure di sicurezza per l'uso di macchine movimento terra e la deposizione di un teste addetto alla formazione.
Come altra motivazione la difesa ha denunciato un vizio di violazione di legge in relazione agli artt. 19, 20 e 73 del D. Lgs. n. 81/2008. La Corte territoriale, infatti, si era uniformata ad un modello di responsabilità oggettiva del datore di lavoro e non al modello collaborativo, recepito dalla più recente giurisprudenza. In particolare, era stato ampiamente dimostrato che fossero state fornite ai lavoratori tutte le attrezzature di sicurezza, comprese le rampe di carico e scarico e le relative linguette per il loro fissaggio, che non erano poi state utilizzate. Secondo la difesa l'incidente era quindi dipeso da una non corretta esecuzione della prestazione lavorativa, nonostante il datore di lavoro avesse fornito le attrezzature e le relative informazioni sul loro utilizzo. Si era così innescato un rischio del tutto nuovo ed eccentrico rispetto a quello governato, in modo preciso e corretto, dal datore di lavoro. La sentenza impugnata non aveva neppure considerato che la società aveva nominato un preposto che era presente sul cantiere il giorno dell'infortunio, sul quale era quindi gravato l'obbligo di vigilanza. Su tale circostanza, sottoposta al vaglio dei giudici di merito nel dibattito processuale, la Corte d'appello non aveva fornito alcuna argomentazione.
Le decisioni in diritto della Corte di Cassazione.
Secondo la Corte di Cassazione quella territoriale ha argomentato in modo lineare e convincente sulla valutazione della assoluta plausibilità della tesi del CT del PM e la assoluta illogicità di qualsiasi ricostruzione alternativa, considerando, alla luce di tale ricostruzione e delle risultanze dell'esame autoptico (mai valutato dal primo giudice) che: 1) la caduta dalle rampe del bobcat non avrebbe potuto determinare lo sbalzamento del lavoratore che era alla guida poiché il mezzo procedeva troppo lentamente per determinare una spinta centrifuga così forte da provocare lo sbalzo all’esterno del lavoratore, che pesava circa 90 kg, ad una distanza di ben 5 metri; 2) il lavoratore avrebbe riportato danni in altre parti del corpo mentre egli era deceduto per un colpo alla nuca, plausibilmente riportato a seguito di una caduta all'indietro dopo essere stato colpito al volto; 3) come emerso dalla relazione del medico legale, infatti, la vittima presentava, sul viso, il segno del bullone della benna, non altrimenti spiegabile.
E' indiscusso, ha così proseguito la suprema Corte, che il bobcat era stato fatto salire sull'autocarro con la benna in avanti (con evidenti rischi di ribaltamento) e che il pianale era stato montato in modo non corretto, ossia senza procedere al fissaggio con le apposite linguette. Tanto era risultato, come ha dato atto la Corte territoriale, dalla deposizione dell'ispettore che aveva svolto le indagini (invero, a seguito del fatto, erano state mosse specifiche contestazioni all’azienda), e la circostanza era stata considerata del tutto pacifica anche dal giudice di primo grado. La sentenza impugnata, inoltre, aveva dato rilievo alla deposizione di due testi secondo cui era prassi appoggiare le rampe di carico al pianale senza fissarle con le linguette.
La Sezione IV ha quindi richiamato il consolidato orientamento della Corte di legittimità secondo cui il datore di lavoro deve vigilare per impedire l'instaurazione di prassi "contra legem" foriere di pericoli per i lavoratori, con la conseguenza che, in caso di infortunio del dipendente, la condotta del datore di lavoro che abbia omesso ogni forma di sorveglianza circa la pericolosa prassi operativa instauratasi, integra il reato di omicidio colposo aggravato dalla violazione delle norme antinfortunistiche. Le prassi diffuse in un'impresa o anche in un determinato ambito imprenditoriale non possono infatti superare le prescrizioni legali, in quanto non hanno natura normativa e, seppure assurgessero a vere e proprie consuetudini, resterebbero norme di rango inferiore.
In conclusione, l'accertata prassi di non assicurare con gli appositi strumenti il corretto montaggio del pianale sul quale doveva salire il bobcat integra un sicuro profilo di colpa del datore di lavoro, non essendo neppure contestata la certa incidenza causale della scarsa stabilità del pianale sul ribaltamento del bobcat, con le gravissime conseguenze per il lavoratore (sia che egli si trovasse alla guida, sia che si trovasse nelle vicinanze del camion). La Corte di Cassazione ha così rigettato il ricorso e condannato i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Gerardo Porreca