26.09.2024
L’incidente sul lavoro e la sentenza della Corte di cassazione nel «caso Corato». La presentazione delle sentenze - primo grado, secondo grado e Cassazione - e i commenti dell’Avv. Aldo Areddu e del Dott. Ugo Tentolini.
Ci sono pronunce giurisprudenziali e sentenze della Corte di Cassazione che in questi anni hanno sollevato diversi commenti e critiche. È il caso della sentenza della Cassazione Penale, Sez. 4, del 25 settembre 2023, n. 38914, che ha confermato la responsabilità penale di un RLS in un caso di infortunio mortale di un lavoratore.
Ricordiamo alcuni degli articoli e commenti già pubblicati dal nostro giornale sul tema:
Pubblichiamo oggi anche un contributo – dal titolo “Il Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza” – curato dall’Avv. Aldo Areddu e dal Dott. Ugo Tentolini.
Il Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza
Chi era il lavoratore vittima dell’incidente sul lavoro
La vicenda giudiziaria e le responsabilità del Rappresentante dei lavoratori
Considerazioni critiche sul ruolo del Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza
La Corte suprema di cassazione, quarta sezione penale, con la sentenza 25 settembre 2023, n. 38914 (ud. 27 giugno 2023), si sofferma sulla figura - mai compiutamente esplorata - del Rappresentante dei lavoratori della sicurezza RLS, approdando a conclusioni a dir poco “rivoluzionarie” nello scenario della disciplina prevenzionistica del lavoro.
Per comprenderne la portata – ed ancor prima la genesi dell’evoluzione che ha condotto per la prima volta ad un’affermazione di responsabilità penale in capo al RLS – occorre procedere analizzando l’incidente avvenuto sul lavoro e successivamente esaminare la dinamica giudiziaria.
Il lavoratore di una ditta pugliese è intento a riporre un pesante carico al quarto livello di una scaffalatura.
“Durante le operazioni di stoccaggio, …, dopo avere trasportato, a mezzo di un carrello elevatore, un carico di tubolari di acciaio, sceso dal carrello elevatore ed arrampicatosi sullo scaffale per meglio posizionare il carico, venisse schiacciato sotto il peso dei tubolari che gli rovinavano addosso (Corato, 01/07/2011)”.
L’addetto era stato assunto cinque anni prima come disegnatore tecnico.
Poiché in azienda, come sempre si dice (facendolo passare per virtù!), “tutti devono (saper) fare tutto”, egli era presto divenuto un tuttofare, un vero «jolly», e quel giorno (come in molti altri) stava stoccando merci a bordo di un muletto.
Come sarà puntualmente ricostruito nel dibattimento di primo grado, sale (come molti altri colleghi) sul carrello elevatore senza alcuna formazione e/o specifico addestramento. Lavora di consueto dalle 5 e 45 del mattino fino alle 18 e 30; neppure a dirlo, è pagato per molto meno.
La vittima è geometra, ma muore con indosso gli abiti da lavoro di un metalmeccanico.
Quanto emerso dalle plurime deposizioni testimoniali (pressoché concordi) è un “caso di scuola” di mala gestio della sicurezza in azienda:
A “chiudere il cerchio”, il raggelante curriculum dell’azienda: ben due incidenti mortali occorsi in precedenza rispetto all’evento letale.
È stato, altresì, accertato che il rappresentante dei lavoratori della sicurezza – dato peculiare e, come si dirà, destinato ad avere un peso rilevante nel finale approdo processuale - fosse al contempo anche componente il Consiglio di amministrazione della società.
Infine, nessuno dei lavoratori sapeva chi fosse il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza: lo ha appreso successivamente al fatto luttuoso partecipando a corsi di formazione e addestramento (in cui il medesimo si è “appalesato” come tale).
a) Il primo grado
La Procura di Trani eleva il capo di imputazione – oltre che per il datore di lavoro ed il responsabile del servizio di prevenzione e protezione (RSPP) – anche per il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza (RLS), nei termini che seguono:
«(…) in cooperazione colposa con il datore di lavoro ed il responsabile del servizio di prevenzione e protezione, per colpa specifica correlata a violazioni delle norme in materia di sicurezza, concorreva a cagionare l’infortunio mortale del (…) attraverso una serie di comportamenti omissivi e segnatamente: omettendo di promuovere l’elaborazione, l’individuazione e l’attuazione delle misure di prevenzione idonee a tutelare la salute e l’integrità fisica dei lavoratori; omettendo di sollecitare il datore del lavoro ad effettuare la formazione dei dipendenti (…) per l’uso dei mezzi di sollevamento; infine, omettendo di informare il responsabile dell’azienda dei rischi connessi all’utilizzo – da parte del (…) - del carrello elevatore».
Attingendo dai compiti che l’art. 50 del d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81 e ss.mm.ii. (t.u. sicurezza) assegna al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, l’Ufficio requirente edifica una contestazione – secondo il consueto modulo del cd. reato omissivo improprio – imperniata su tre adempimenti ritenuti nella specie mancati (la promozione dell’elaborazione/ individuazione/ attuazione delle misure prevenzionistiche; la sollecitazione al datore di lavoro all’effettuazione di attività formativa specifica; l’informazione del responsabile dell’azienda dei rischi di utilizzo del mezzo elevatore), e valutati tali da aver contribuito causalmente – in cooperazione ex art. 113 del codice penale con gli altri due “attori” della sicurezza (lo stesso datore di lavoro ed il RSPP) - al decesso del lavoratore.
L’affermazione di responsabilità penale cui approda il giudice di prime cure – nonostante, si badi, la richiesta di assoluzione rassegnata in sede di discussione finale da parte dello stesso pubblico ministero (evidentemente convintosi, all’esito dell’istruzione dibattimentale, dell’innocenza del prevenuto) – è lapidaria:
«La responsabilità del (…) va affermata sia alla luce delle medesime considerazioni [svolte per il datore, per la sua funzione di garanzia ndr.] sia della veste di dirigente all’interno dell’azienda sia di R.S.L., atteso che (…) egli nella precipua veste rivestita, e pur essendo bene a conoscenza di tutta la situazione descritta non abbia fatto nulla, pur a conoscenza anche della nota invitata dal [RSPP] e tenuto conto della piena consapevolezza della situazione di controllo evidentemente discendente anche dal ruolo di responsabile [??!, ndr] per la sicurezza dei lavoratori, affinché venissero sollecitate e/o adottate le necessarie contromisure affinché l’evento, del tutto prevedibile ed evitabile, si verificasse».
Secondo il Tribunale tranese, dunque, l’omicidio colposo è da riferire al rappresentante non solo per la specificità del “doppio ruolo” rivestito (RLS + figura direttiva) ma anche “ontologicamente” in quanto “responsabile per la sicurezza”, finendo per attribuirgli, al pari del datore (egualmente condannato), una posizione di garanzia dell’incolumità psico-fisica delle maestranze impegnate in ditta.
b) Il secondo grado
Quello che nella pronuncia appare francamente un salto logico, una petizione di principio che – come meglio vedremo nel seguito (comunque intuibile già dalla piana lettura della norma di riferimento, che mai parla di “responsabilità” del RLS) – cozza frontalmente con i contenuti della figura ed ancor prima con la ratio della sua introduzione (essenzialmente quella di garantire la presenza in azienda di un portavoce dei lavoratori con compiti di rappresentanza e di impulso), diventa affermazione plastica nella sentenza di secondo grado.
La Corte di appello di Bari, nel ritenere “del tutto condivisibili le conclusioni cui perveniva il Tribunale (…) in merito alla sussistenza in capo a (…) della posizione di garanzia e dunque della ipotizzabilità a suo carico di una cooperazione colposa nella condotta omissiva posta in essere dal legale rappresentante dell’azienda, rivestendo (…) non solo il ruolo di responsabile dei lavoratori ma anche di membro del Consiglio di amministrazione della (…), puntualizza:
«Come noto, il d.lgs 81/08, all’art. 50 ha disciplinato tra le varie figure aziendali quella del Responsabile [??!, ndr] dei lavoratori per la sicurezza”, risultando nella specie che il predetto “non ha in alcun modo ottemperato ai compiti che gli erano attribuiti dalla legge, consentendo che (… ) fosse adibito a mansioni diverse (…) senza aver ricevuto alcuna adeguata formazione, non sollecitando in alcun modo l’adozione da parte del responsabile dell’azienda di modelli organizzativi in grado di preservare la sicurezza dei lavoratori”.
“Come noto”, per la corte territoriale (ed ancora una volta disattendendo le conclusioni della pubblica accusa), la norma ha (avrebbe) disciplinato il “Responsabile dei lavoratori per la sicurezza”: la trasfigurazione è conclamata!
c) la Corte di cassazione
A questo punto ci si attenderebbe l’intervento risolutivo, a ristabilire la lettera (e la funzione) della norma positiva, della Corte di legittimità.
Ebbene, i Giudici di piazza Cavour – pur aggirando il tema della ricorribilità di una posizione di garanzia (“nel caso di specie, viene in rilievo non se l'imputato, in tale sua veste, ricoprisse o meno una posizione di garanzia intesa come titolarità di un dovere di protezione e di controllo finalizzati ad impedire un evento che si ha l'obbligo giuridico di impedire (articolo 40 cpv. c.p.) – ma se egli abbia, con la sua condotta, contribuito causalmente alla verificazione dell'evento (….)” - conclamano definitivamente la trasformazione del ruolo, anche qui esordendo con una locuzione (“come è noto”) che non lascia margini di opinabilità:
“l'articolo 50 Decreto Legislativo n. 81 del 2008, che ne disciplina le funzioni e i compiti, attribuisce al Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza un ruolo di primaria importanza quale soggetto fondamentale che partecipa al processo di gestione della sicurezza dei luoghi di lavoro, costituendo una figura intermedia di raccordo tra datore di lavoro e lavoratori, con la funzione di facilitare il flusso informativo aziendale in materia di salute e sicurezza sul lavoro (…) Sotto questo profilo, la sentenza impugnata ha illustrato adeguatamente i termini in cui si è realizzata la cooperazione colposa dello (…) nel delitto di cui trattasi. Richiamati i compiti attribuiti dall'articolo 50 al Responsabile [??! ndr] dei Lavoratori per la Sicurezza, ha osservato come l'imputato non abbia in alcun modo ottemperato ai compiti che gli erano stati attribuiti per legge,consentendo che (…) fosse adibito a mansioni diverse rispetto a quelle contrattuali, senza aver ricevuto alcuna adeguata formazione e non sollecitando in alcun modo l'adozione da parte del responsabile dell'azienda di modelli organizzativi in grado di preservare la sicurezza dei lavoratori, nonostante le sollecitazioni in tal senso formulate dal (…)».
Anche per la Corte di cassazione, dunque, il t.u. sicurezza avrebbe introdotto la figura del “responsabile” dei lavoratori per la sicurezza.
Ora, in disparte la singolare trasformazione di un dato normativo inequivoco (esiste per tabulas un “rappresentante” dei lavoratori, non un “responsabile”) è tutto il ragionamento seguito dagli Ermellini - in sostanziale condivisione con quanto era già emerso in sede di merito - a contrastare con l’apparato regolamentativo del d.lgs. n. 81/08 cit.
In primo luogo, il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, sin dalla definizione iniziale di cui all’art. 2, comma 1, lett. i), è a rigore una figura di rappresentanza, di volta in volta puntualmente confermata nelle altre e successive previsioni di riferimento (ad es. gli artt. 18, comma 1, lett. n) e s), nonché 28, comma 3 bis, che valorizzano il ruolo di consultazione/coinvolgimento, anche nella “specifica” formazione che deve essergli garantita: art. 37, co. 10). Non casualmente, del resto, la figura è dettagliata nella sezione VII del capo III “Gestione della prevenzione dei luoghi di lavoro” del titolo I (ove si individuano i “Principi comuni” del dettame normativo), rubricata sotto “Consultazione e partecipazione dei rappresentanti dei lavoratori”, slegata per di più dalla rassegna delle altre e ben più rilevanti figure professionali chiamate a garantire la tutela prevenzionistica ed inserite nella sezione I dello stesso capo.
In secondo luogo, il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza è l’unica – tra tali figure – per le quali il t.u. non ha previsto alcuna sanzione penale (assegnate financo ai lavoratori).
In terzo luogo, mai per il RLS si parla di «obblighi» (anche i lavoratori li hanno!) ma di «attribuzioni» e tra esse compaiono in larga misura più diritti (all’informazione, alla formazione, alla conoscenza della documentazione etc.) che doveri, in linea per l’appunto con la natura strutturale di rappresentanza, quasi “sindacale” delle maestranze.
In quarto ed ultimo luogo, non si scorge neppure quel ruolo, declamato dalla Corte di cassazione, di “raccordo” tra datore e lavoratori finalizzato a garantire tra i due poli il “flusso informativo”: difatti, l’art. 20, co. 2 del t.u. sicurezza, quando prevede – tra gli altri - specifici obblighi di osservanza di disposizioni impartite dalla filiera datoriale nonché di segnalazione immediata di eventuali condizioni di pericolo, non prevede l’intermediazione del rappresentante.
Ci si augura vivamente, in definitiva, che si affacci – e presto - una pronuncia “riparatrice” che, in nome della (questa sì!) nota funzione nomofilattica assegnata alla nostra Corte suprema, ristabilisca la litera legis e torni a qualificare il RLS per quello che è, ed è stato introdotto e congegnato: un “rappresentante” con diritti di conoscenza, informazione dei lavoratori ed impulso propositivo verso la dirigenza aziendale.
Ciò perché il “caso Corato” resti un caso, isolato e non ripetibile in tutti i sensi.
Avv. Aldo Areddu e Dott. Ugo Tentolini
Scarica la sentenza citata nell’articolo:
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