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05.09.2024

L’obbligo di impedire l’instaurarsi di prassi di lavoro non sicure

Il datore di lavoro deve impedire l'instaurarsi da parte dei lavoratori di prassi di lavoro non corrette e latrici di possibili rischi per la loro sicurezza e incolumità e il preposto è chiamato invece a sovraintendere per impedire il loro formarsi.

 

Ha richiamate la Corte di Cassazione in questa sentenza le disposizioni di cui all’art. 19 comma 1 lett. a), c) e d del D. Lgs. n. 81/2008 che disciplinano gli obblighi a carico del soggetto preposto alle lavorazioni, in relazione alla sovraintendenza e alla vigilanza delle lavorazioni stesse e al dovere di segnalazione dei pericoli imminenti e gravi per il lavoratore, nonché quelle di cui all'art. 96 comma 1 lett. c) dello stesso decreto legislativo sulle modalità di stoccaggio e di accatastamento dei materiali da movimentare.

 

L’infortunio sottoposto all’esame della suprema Corte aveva interessato un lavoratore dipendente di un’azienda che era stato investito da una cassaforma in cemento armato che veniva movimentata da un mezzo meccanico manovrato proprio dal preposto addetto alle lavorazioni. Quest’ultimo era stato accusato di non avere proceduto ad una corretta disposizione e accatastamento delle casseforme collocate nei pressi di un pilastro in modo da escluderne la caduta e il ribaltamento e a suo carico erano stati ravvisati profili di colpa generica in quanto era emerso che era stato proprio lui ad ordinare alla persona offesa di issarsi sopra il manufatto per agganciarlo alla catena della gru, onde consentirne il trasporto, seguendo una metodica di lavoro in contrasto con qualsiasi regola di prudenza, stante il rischio di ribaltamento, ed espressamente vietata dalle prescrizioni datoriali che facevano parte integrante del sistema di sicurezza aziendale.

 

Il datore di lavoro, ha sostenuto la Corte di Cassazione nel decidere sul ricorso presentato dall’imputato, deve impedire l'instaurarsi da parte dei lavoratori, destinatari delle direttive di sicurezza, di prassi di lavoro non corrette e, come tali, latrici di possibili rischi per la sicurezza e la incolumità dei lavoratori e il preposto è chiamato invece a intercettare e a impedire il formarsi di non corrette metodiche dei lavori cui sovraintende, il che non è successo nel caso in esame essendo stato lo stesso a favorire una metodica in contrasto con qualsiasi regola di prudenza..

 

Essendo stati riconosciuti pertanto in capo al preposto della società datoriale i profili di colpa individuati nelle imputazioni ed escluso altresì un comportamento abnorme da parte del lavoratore o comunque tale da interrompere il nesso di causalità, la Corte di Cassazione, preso atto che la sentenza impugnata non presentasse il vizio di motivazione dedotto dalla difesa del ricorrente, ha dichiarato inammissibile il ricorso e condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché della prevista somma in favore della Cassa delle ammende. 

 
 

Il fatto, l’iter giudiziario il ricorso per cassazione e le motivazioni.

La Corte di Appello ha confermata la decisione del Tribunale che aveva riconosciuto il preposto di una azienda colpevole del reato di lesioni colpose ai danni di un lavoratore dipendente con inosservanza della disciplina relativa alla prevenzione degli infortuni, per essere stato lo stesso investito da una cassaforma in cemento armato che l'imputato si apprestava a movimentare con mezzo meccanico. In particolare, Allo stesso, quale soggetto preposto dalla azienda addetto alla lavorazione, era stato contestato, ai sensi dell'art. 96 comma 1, lett. c) del D. Lgs. n. 81/2008 di non avere proceduto ad una corretta disposizione e accatastamento delle casseforme collocate nei pressi di un pilastro in modo da escluderne la caduta e il loro ribaltamento. I giudici di merito inoltre, alla stregua delle testimonianze acquisite nel corso del dibattimento, avevano altresì ravvisato profili di colpa generica in quanto era emerso che era stato proprio il preposto alle lavorazioni ad ordinare alla persona offesa di issarsi sopra il manufatto per agganciarlo alla catena della gru, onde consentirne il trasporto, ma tale metodica di lavoro era in contrasto con qualsiasi regola di prudenza, stante il rischio di ribaltamento, ed era espressamente vietata dalle prescrizioni datoriali che facevano parte integrante del sistema di sicurezza aziendale. La Corte di Appello ha evidenziato altresì che, anche nel caso in cui tale ordine non fosse stato impartito al dipendente, l'imputato che si stava avvicinando con la gru al punto di allocazione dei casseri, avrebbe dovuto tentare di inibire al dipendente la condotta realizzata, e cioè quella di arrampicarsi sulla sommità della cassaforma, trattandosi di operazione vietata, ma ciò non era avvenuto, rendendo ancora più verosimile la condivisione da parte dello stesso della scorretta metodica di lavoro.

 

La difesa dell’imputato ha proposto ricorso per cassazione avverso la pronuncia della Corte territoriale articolandolo con due motivi. La difesa si è lamentata innanzitutto per il fatto che  entrambi i giudici di merito erano pervenuti all'accertamento della responsabilità dell'imputato omettendo di valutare decisivi elementi istruttori concernenti il rispetto della sicurezza sul luogo di lavoro, la corretta informazione e formazione dei dipendenti sui rischi connessi alle lavorazioni e, in particolare, su quelli concernenti le modalità di intervento sui casseri che imponevano di non salire sui manufatti, se non mediante strumenti di lavoro quali scale ed impalcature pure presenti in prossimità dei manufatti da movimentare e del pilastro ove questi erano appoggiati. Ha sostenuto ancora la difesa che i dipendenti avevano ricevuto personalmente le direttive aziendali che facevano divieto di fare ricorso a prassi lavorative elusive di quanto nelle stesse stabilito e che, se il giudice distrettuale avesse considerato che il caposquadra aveva assicurato ai dipendenti tutti gli strumenti e tutte le informazioni necessarie per operare in sicurezza, sarebbe stato escluso ogni profilo di colpa a carico dell’imputato.

 

Con il secondo motivo di ricorso la difesa ha evidenziato la rilevanza causale dell’evento che aveva avuta la condotta del lavoratore per la sua eccezionalità e imprevedibilità, nonché per il palese contrasto con ogni disposizione impartita, in quanto il cassero si era ribaltato non per un difetto di stoccaggio, ma per la sconsiderata azione del lavoratore che si era improvvidamente arrampicato sullo stesso determinandone il ribaltamento, mentre l'imputato non avrebbe potuto in alcun modo impedire l'evento trattandosi di azione improvvisa e imprevedibile e comunque attuata repentinamente prima che il ricorrente avesse avuto la possibilità di dissuaderlo. Il giudice di appello aveva inoltre omesso di considerare prove decisive senza indicare il criterio adottato nella valutazione complessiva delle prove assunte, in particolare con riferimento al mancato riconoscimento della interruzione del rapporto di causalità.

 

Le decisioni in diritto della Corte di Cassazione.

Secondo la Sezione IV, la Corte di Appello ha ricostruita la vicenda fattuale in modo logico e coerente, evidenziando in termini analitici e coerenti tutti i passaggi salienti, in termini causali, che hanno determinato la verificazione del sinistro e operando la ricostruzione di quest'ultimo in termini coerenti con le risultanze processuali, in particolare sulla base delle testimonianze acquisite, evidenziando come la persona offesa si fosse issata sulla cassaforma da movimentare per agganciarla con la catena, su specifica richiesta dell'imputato preposto alle lavorazioni e ciò in palese violazione delle prescrizioni datoriali relative alle metodiche di lavoro da utilizzare per la movimentazione delle casseforme, e comunque in violazione delle disposizioni del D. Lgs. 81/2008 che disciplinano gli obblighi a carico del soggetto preposto alle lavorazioni (art. 19 comma 1 lett. a), c) e d), in relazione alla sovraintendenza e alla vigilanza delle lavorazioni e al dovere di segnalazione del pericolo imminente e grave per il lavoratore, nonché in violazione dell'art. 96 comma 1 lett. c) del D. Lgs. n. 81/2008, sulle modalità di stoccaggio e di accatastamento dei materiali da movimentare.

 

Il giudice distrettuale, ha evidenziato ancora la suprema Corte, a fronte dei rilievi provenienti dalla difesa dell'imputato, si è soffermato a saggiare e riconoscere l'attendibilità della deposizione di un teste il quale, presente e partecipe alle lavorazioni, aveva affermato in un’udienza dibattimentale che era stato l'imputato ad impartire al lavoratore l'invito a salire sopra la cassaforma per agganciarla e l'attendibilità di tale testimonianza era stata riconosciuta sia attraverso una preliminare verifica sulla credibilità intrinseca del testimone, sia sulla base di una valutazione di attendibilità estrinseca, esaminando tutte le circostanze del caso concreto, relative alle modalità delle lavorazioni, alla ubicazione delle casseforme, all'impiego di mezzi meccanici, alla distanza che separava il testimone dal preposto, nonché quella che correva tra preposto e il dipendente, e ai tempi necessari per procedere alle operazioni di ancoraggio. Il giudice distrettuale, peraltro, ha così aggiunto la Sezione IV, oltre a confermare il giudizio di responsabilità del prevenuto per avere ordinato al manovale di procedere ad una operazione vietata e comunque pericolosa, aveva riconosciuto profili di colpa in capo al preposto. anche per non avere vigilato sul presupposto che la distanza intercorrente tra lui, che conduceva il mezzo meccanico, e l'operaio, avrebbe consentito al primo di ordinare al secondo di desistere dall'arrampicarsi acrobaticamente sulla cassaforma, mettendo in pericolo la stabilità del manufatto che era peraltro collocato alla base di un pilastro, aggettante verso valle.

 

A fronte di tali argomenti, la difesa del ricorrente, ha osservato la Corte di Cassazione, aveva omesso totalmente di confrontarsi, sebbene gli stessi risultassero decisivi per il riconoscimento della responsabilità dell'imputato, il quale avrebbe dato al sottoposto un ordine chiaramente illegittimo e che lo esponeva ad un immediato pericolo per la sua integrità fisica, ma si è limitato a sostenere, in termini generali, che ai dipendenti era stata assicurata un'adeguati formazione e una corretta informazione sui rischi connessi alle lavorazioni, che erano stati forniti adeguati presidi antinfortunistici, sia individuali che collettivi e che comunque l'evento costituiva la conseguenza della condotta abnorme ed eccezionale del dipendente che aveva violato precise prescrizioni sulle modalità di agganciare le casseforme, nella impossibilità per il preposto di intervenire per evitare l'evento.

 

Riconosciuti pertanto in capo al preposto della società datoriale i profili di colpa individuati in imputazione, la suprema Corte sotto il profilo causale ha riaffermato il principio secondo cui va esclusa l'interruzione del rapporto di causalità, in costanza della imprudente condotta del lavoratore (che si era issato sulle casseforme da movimentare pure in presenza di scale) quando, come nella specie, il sistema di sicurezza apprestato dal datore di lavoro presenti delle evidenti criticità e ha citato a riferimento quanto contenuto in numerose precedenti sentenze fra cui la sentenza della Sezione IV n. 21511 del 07/06/2010, pubblicata e commentata dallo scrivente nell’articolo " Cassazione: sicurezza sul lavoro a prova di errore umano".

 

Le disposizioni di sicurezza perseguono infatti il fine di tutelare il lavoratore anche dagli infortuni derivanti da sua colpa, onde l'area di rischio da gestire comprende il rispetto della normativa prevenzionale che si impone ai lavoratori, “dovendo il datore di lavoro impedire l'instaurarsi, da parte degli stessi destinatari delle direttive di sicurezza, di prassi di lavoro non corrette e, come tali, latrici di possibili rischi per la sicurezza e la incolumità dei lavoratori, mentre il preposto è chiamato a intercettare e a impedire il formarsi di non corrette metodiche dei lavori cui sovraintende”.

 

La suprema Corte, inoltre, quanto alla dedotta condotta imprudente o incauta del lavoratore, ha evidenziato che la colpa del lavoratore eventualmente concorrente con la violazione della normativa antinfortunistica addebitata ai soggetti tenuti ad osservarne le disposizioni non esime questi ultimi dalle proprie responsabilità, poiché l'esistenza del rapporto di causalità tra la violazione e l'evento-morte o lesioni del lavoratore, che ne sia conseguito, può essere esclusa unicamente nei casi in cui sia provato che il comportamento del lavoratore era stato abnorme, e che proprio questa abnormità abbia dato causa all'evento quando, per la sua stranezza ed imprevedibilità, non sia neppure collegato al segmento di lavorazione impegnato; in tema di causalità, la colpa del lavoratore, concorrente con la violazione della normativa antinfortunistica ascritta al datore di lavoro ovvero al destinatario dell'obbligo di adottare le misure di prevenzione, esime questi ultimi dalle loro responsabilità solo allorquando il comportamento anomalo del primo sia assolutamente estraneo al processo produttivo o alle mansioni attribuite, risolvendosi in un comportamento del tutto esorbitante ed imprevedibile rispetto al lavoro posto in essere, ontologicamente avulso da ogni ipotizzabile intervento e prevedibile scelta del lavoratore, ipotesi nella specie non ipotizzabile essendo emerso che il lavoratore si è limitato a dare esecuzione ad uno specifico ordine di lavoro promanante dal preposto alle lavorazioni.

 

Essendo stato quindi il ricorso ritenuto inammissibile e non essendo stata ravvisata, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), la Corte di Cassazione ha, in conclusione, condannata la parte ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di 3000 euro in favore della Cassa delle Ammende.

 

Gerardo Porreca

 

Corte di Cassazione Sezione IV penale - Sentenza n. 23648 del 13 giugno 2024 (u. p. 6 marzo 2024) -  Pres. Di Salvo  – Est. Bellini – P.M. Odello - Ric. omissis.  - Il datore di lavoro deve impedire l'instaurarsi da parte dei lavoratori di prassi di lavoro non corrette e latrici di possibili rischi per la loro sicurezza e incolumità e il preposto è chiamato invece a sovraintendere per impedire il loro formarsi.




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