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30.07.2020

Trasporto con carico e scarico: obblighi di coordinamento e DUVRI

La gestione dei rischi interferenziali, con particolare riferimento al rischio di investimento, nelle attività di trasporto e operazioni di carico e scarico: analisi di alcune significative sentenze di Cassazione Penale.
 

In questo contributo, condotto come sempre senza pretese di esaustività, esaminiamo tre interessanti sentenze con cui la Cassazione Penale si è pronunciata su questo delicato tema.

 

In Cassazione Penale, Sez.IV, 6 giugno 2017 n.27994, la Suprema Corte ha confermato la condanna di “T.A. legale rappresentante della ditta K., azienda titolare del deposito in cui si era verificato l’infortunio mortale e affidataria delle opere di logistica e di scarico, e T.D., legale rappresentante della Ku. s.p.a., impresa di autotrasporto, datrice di lavoro del dipendente infortunato mortalmente”.

 

A costoro era stato “contestato di avere omesso di cooperare alla attuazione delle misure di prevenzione e di protezione dei rischi cui sono esposti i lavoratori e in particolare gli autisti che operavano nel deposito della K. in M. tanto che si era realizzata una interferenza sul luogo di lavoro tra F.V., alla guida del carrello elevatore cui erano demandati i compiti di scarico del mezzo di trasporto e B.G., conducente dell’autoarticolato da scaricare, che era sceso a terra per agevolare l’attività di scarico rimuovendo il telone del rimorchio.”

 

I due imputati “si erano rappresentati lo specifico rischio di infortuni”; nonostante ciò è stato addebitato loro “un grave difetto di cooperazione e di coordinamento nella predisposizione di un piano di sicurezza idoneo a evitare interferenze sul luogo di lavoro, come quella che aveva portato all’investimento del lavoratore, laddove le stesse prescrizioni provenienti dalla struttura organizzativa unitaria che gestiva la sicurezza, rimetteva ai lavoratori la gestione di siffatta delicata fase di lavoro.”

 

Nel loro ricorso gli imputati hanno fatto presente che esisteva un “apposito organismo (K. Safety Team) operativo e votato a coordinare e a prevenire i rischi cui erano esposti i lavoratori, ove la ditta K. era priva di autonomia nella gestione della sicurezza, mentre era la società N., maggiore azionista della stessa, a tracciare i principi di indirizzo, indicando le regole e la loro attuazione.”

 

Come anticipato, la Corte di Cassazione ha rigettato i ricorsi.

 

Riguardo alle responsabilità di T.D., quale datrice di lavoro del lavoratore deceduto, questa era secondo la Corte “necessaria coordinatrice, ai sensi dell’art.26 D.Lgs.81/2008, di un rischio interferenziale sul luogo di lavoro, rischio rappresentato dalla non evitabile sovrapposizione di sfere di intervento tra i “carrellisti” incaricati dalla K., e per essa dal consorzio appaltatore del servizio, delle operazioni di scarico, trasporto e stivaggio della merce, con i “conducenti” dei mezzi di trasporto (autotrasporti gestiti dalla Ku.) una volta che gli stessi fossero scesi dal mezzo, attendendo e coadiuvando il completamento delle suddette operazioni.”

 

La posizione di T.D. risultava “intimamente connessa, in ragione degli obblighi datoriali e di coordinamento alla stessa riferibili e ai profili di cooperazione colposa sopra evidenziati, a quella di T.A., quale controparte del rischio interferenziale da dominare e per la cui prevenzione era stato costituito l’organismo di cui sopra cui erano chiamati a partecipare i rappresentanti dei conducenti degli autoarticolati.”

 

Peraltro, con riferimento a T.A. la Corte d’Appello “poneva in rilievo la fattiva e indubbiamente profetica partecipazione alla riunione del 7.2.2009 […], cui non seguirono le direttive auspicate” e riguardo a T.D. la medesima Corte sottolineava il fatto che da questi “era certamente esigibile l’incombente di sensibilizzare i conducenti a evitare qualsiasi comportamento che aumentasse il rischio di interferenza rispetto alle operazioni di carico scarico con mezzi meccanici.”

 

Quanto alla condotta della vittima, “l’infortunio non ebbe a realizzarsi in ragione di una imprevedibile ed estemporanea decisione del lavoratore infortunato, al quale era prescritto di rimanere a bordo del camion o di porsi in area protetta, o da un omesso rispetto delle consegne dei due protagonisti del tragico evento, ma da esigenze di carattere organizzativo e logistico (sollevare il telone del rimorchio) come ampiamente preconizzato dal T.A. nella riunione sopra citata (motivi tecnici legati alle fasi di carico)”.

Dunque “l’infortunio trasse origine proprio da un profilo di sovrapposizione e di interferenza tra lavorazioni sincroniche di due soggetti che stavano eseguendo la rispettiva prestazione lavorativa secondo le prescrizioni assegnate.”

 

La Cassazione ha confermato pertanto le valutazioni della Corte d’Appello, la quale ha “riconosciuto la inadeguatezza e la insufficienza delle prescrizioni partorite dalla K. Safety Team del luglio 2009, nonostante il T.A. avesse correttamente enucleato il rischio di investimento, quale prioritario profilo di infortunio da prevenire.”

 

Andando più nel dettaglio, “la corte territoriale ha posto in rilievo come le indicazioni contenute nella brochure realizzata dall’organismo di tutela della sicurezza fossero generiche, prive di scansioni temporali certe ma, soprattutto, come rimettessero agli stessi operatori del servizio la concreta attuazione dei compiti agli stessi assegnati. Le prescrizioni non prevedevano divieti al conducente di scendere dal camion durante le operazioni di scarico ma imponevano un coordinamento a terra tra le due figure, quale quello di mantenere una distanza di sicurezza, di porsi in area riservata, di accertarsi del reciproco avvistamento in ipotesi di un controllo al mezzo, di non avvicinarsi per nessun motivo, di fatto rinviando la gestione del rischio interferenziale al concreto sviluppo della lavorazione e all’atteggiarsi delle relazioni tra i due operatori.”

 

“a tale proposito il giudice ha indicato come di ben diverso tenore sia stato il programma delle prescrizioni assunte successivamente all’infortunio, nelle quali era fatto divieto al conducente di scendere dal mezzo nel corso delle operazioni di carico - scarico fino a quando il carrellista non avesse dato il nulla osta per le eventuali operazioni da compiersi a terra.”

 

In conclusione, nel confermare la condanna dei due imputati la Cassazione ha sottolineato che “l’addebito non risiede nella carenza di vigilanza, bensì sul piano preventivo della gestione di un rischio interferenziale non solo prevedibile, ma invero previsto e considerato, ma affrontato attraverso prescrizioni inadeguate e in palese contrasto con gli obblighi posti a carico di ciascun imputato dall’art.26 II e III comma D.Lgs. 81/08.”

 

 

In Cassazione Penale, Sez.IV, 9 novembre 2015 n.44792, la Corte ha confermato la responsabilità di M.R. e P.G. per il delitto di omicidio colposo in danno del “lavoratore T.H., dipendente della cooperativa S., di cui il M.R. era amministratore unico, verificatosi nel sito di L. della ditta S.B. s.p.a, società che svolgeva attività di deposito per conto terzi” (il cui rappresentante legale è stato assolto), “che aveva appaltato alla società G. e, questa, a sua volta, a varie società cooperative, tra cui la S., il servizio di magazzinaggio delle merci trasportate da altre ditte, in particolare la s.r.l. L.M. Group di cui il P.G. era amministratore unico e datore di lavoro dell’autista B.K. (anche questi giudicato dal GIP ed assolto con la formula per non aver commesso il fatto), che trovavasi alla guida dell’autocarro durante l’operazione di scarico e di magazzinaggio, cui era addetta la persona offesa.”

 

In particolare, “le mansioni del T.H. consistevano nella movimentazione delle ribalte e nelle operazioni di carico e scarico delle merci trasportate dagli automezzi.” Il giorno dell’evento, “il T.H. aveva aperto la porta a rullo prima ancora che l’automezzo in retromarcia si fosse fermato, ed aveva manovrato la pedana, stazionando su di essa, man mano che il mezzo si avvicinava, si era sporto più volte all’interno del cassone per abbassare e risollevare la pedana, con il mezzo ancora in movimento, cosicché per un movimento errato rimaneva schiacciato tra la ribalta ed il mezzo che procedeva in avvicinamento alla prima.”

 

La Cassazione ricorda che “il primo giudice, premesso che il rischio di contatto o investimento tra il mezzo di carico ed il lavoratore addetto alla movimentazione della ribalta rientra tra i rischi interferenziali”, aveva evidenziato che “che il documento di valutazione dei rischi della cooperativa era compilato “secondo uno schema tipico, non calibrato al particolare ambiente di lavoro. In particolare, nella sezione di presentazione dei risultati della valutazione rischi, non veniva esaminata la trattazione del rischio di schiacciamento tra banchina e veicolo; l’analisi del luogo di lavoro della banchina di carico, la verifica in ordine alla idoneità delle attrezzature presenti e non venivano individuali ed analizzati i pericoli correlabili alle interferenze con altri lavoratori ed attrezzature”.

 

Nel ritenere inammissibile il ricorso di P.G. ( datore di lavoro dell’autista dell’autocarro), la Corte sottolinea che “in ragione dell’attività di trasporto merci, di cui [P.G., n.d.r.] aveva ricevuto l’appalto, che andavano messe a deposito, per conto della richiamata Cooperativa, nel sito della ditta S.B.F. s.p.a., i suoi dipendenti (autisti) venivano a contatto con quelli della società cooperativa, nell’esplicazione dell’attività di magazzinaggio.”

 

Qui - precisa la Cassazione - “ci si riferisce alla prevenzione dei “rischi interferenziali”.

 

Non va dimenticato a questo proposito che, come ribadito dalla Suprema Corte anche in questa sentenza, “gli obblighi di cui al richiamato art.26 presuppongono un rapporto di appalto ovvero di somministrazione, secondo le definizioni di tali tipologie contrattuali che si ricavano dalle norme civilistiche. Tuttavia, non possono esaurirsi in essi i rapporti a cui fa riferimento l’intero art.26, posto che la ratio della norma è quella di tutelare i lavoratori appartenenti ad imprese diverse che si trovino ad interferire le une con le altre per lo svolgimento di determinate attività lavorative e nel medesimo luogo di lavoro.”

 

Infatti “ciò che rileva ai fini della normativa di cui all’art. 26 del citato decreto legislativo, non è la qualificazione civilistica attribuita al rapporto tra imprese che cooperano tra loro, quanto l’effetto che tale rapporto crea, cioè l’interferenza tra organizzazioni, che può essere fonte di ulteriori rischi per entrambi i lavoratori delle imprese coinvolte. […]

Emerge, quindi, che, nell’ambito di interferenza tra organizzazioni di più imprese, in cui è irrilevante l’interferenza di fatto tra lavoratori di plurime imprese, ciò che rileva è la presenza di un potere di interferenza nei confronti dell’appaltatore.”

 

Nel caso di specie, in conclusione, “è dato processuale certo che il responsabile della prevenzione e sicurezza della S. B.F. ed il M.R. (per altro sul punto non vi è impugnazione di quest’ultimo), quale amministratore della S., sono venuti meno agli obblighi imposti dal richiamato art.26, comma 1 lett. a) e b) del D.lvo 81/2008, con le condotte omissive indicate nella parte narrativa.

Ciò non toglie, diversamente da come pretende il ricorrente P.G. che la carenza prevenzionale addebitabile ad altri (anche al responsabile della prevenzione e sicurezza della S. B.F. s.p.a) possa esimere da responsabilità l’appaltatore del servizio di trasporto” il quale ultimo, “a mente della richiamata disposizione di cui all’art. 26 comma 2 lett. a) e b) del D.lvo 81/2008, […] era tenuto a richiedere al committente il documento di valutazione dei rischi interferenziali”.

 
Anna Guardavilla
Dottore in Giurisprudenza specializzata nelle tematiche normative e giurisprudenziali relative alla salute e sicurezza sul lavoro
 
 
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