18.11.2019
Il Codice Penale punisce con l’art. 589 chiunque cagiona per colpa la morte di una persona e con l’art. 590 chiunque cagiona ad altri per colpa una lesione personale grave o gravissima con pene della reclusione o della multa che sono comunque incrementate nel caso in cui la morte o le lesioni siano connesse con violazione delle “norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro”. È utile questa sentenza della Corte di Cassazione perché chiarisce quali siano da intendersi le "norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro" ai fini dell’applicazione dei due articoli del Codice Penale.
La sentenza in commento ha riguardato l’infortunio accaduto in una abitazione a un idraulico rimasto folgorato per essere venuto a contatto con parti di un impianto elettrico non a norma a causa della mancanza di un dispositivo di protezione differenziale (salvavita). Nel procedimento penale era stato contestato al committente di avere fatto effettuare i lavori elettrici a un soggetto privo dei requisiti tecnici richiesti dal D.M. 22/1/2008 n. 37 e che pertanto non aveva rilasciato il previsto certificato di conformità.
In risposta alla tesi della difesa secondo la quale il citato decreto ministeriale contiene norme per la installazione degli impianti elettrici e non norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, la suprema Corte ha precisato che per "norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro", ai fini dell’applicazione degli articoli 589 e 590 del Codice Penale, sono da intendersi non solo le norme inserite nelle leggi specificamente antinfortunistiche ma anche tutte quelle che, direttamente o indirettamente, perseguono il fine di evitare incidenti sul lavoro o malattie professionali e che, in genere, tendono a garantire la sicurezza del lavoro in relazione all’ambiente in cui esso deve svolgersi.
Quel che conta in sostanza, ha voluto precisare la suprema Corte, è che la norma miri a eliminare un rischio connesso a un’attività lavorativa per cui ben si comprende come sia possibile che anche norme raccolte in testi esplicitamente destinati a disciplinare ambiti diversi dalle attività lavorative possano essere prese in considerazione come norme prevenzionistiche. Il D.M. n. 37/2008, in particolare, reca prescrizioni che intendono garantire la sicurezza dei lavori attinenti agli impianti in esso menzionati per chi deve svolgerli e quindi oltre che per gli utilizzatori anche per i lavoratori. Anche la violazione di una norma del codice della strada, cita come esempio la Corte di Cassazione, come quella che riguarda l’obbligo della distanza di sicurezza tra i veicoli può dare luogo ad una trasgressione di un precetto antinfortunistico se questa, verificandosi in ambiente o in occasione di lavoro, integra la violazione di una misura di sicurezza atta ad evitare pregiudizi per i lavoratori e per gli altri.
La Corte di Appello ha riformata la pronuncia emessa dal Tribunale con la quale il committente di alcuni lavori elettrici era stato ritenuto responsabile della morte di un idraulico e condannato alla pena ritenuta equa nonché al risarcimento dei danni in favore della costituita parte civile. Secondo la ricostruzione della vicenda l’idraulico, in compagnia della moglie, si era portato presso l’appartamento per eseguire la riparazione dell’autoclave che costituiva parte dell’impianto di alimentazione idrica dell’abitazione, impianto che era stato eseguito dallo stesso per la parte idraulica e da un’altra persona per la parte elettrica.
Secondo gli accertamenti tecnici confluiti nel giudizio, l’idraulico, venuto a contatto con parti dell’impianto elettrico, era rimasto vittima di una elettrocuzione a causa della mancanza sull’impianto di un dispositivo di sicurezza quale il dispositivo di protezione differenziale (cd. salvavita) perdendo la vita.
A chi aveva commissionato i lavori elettrici era stato ascritto di aver affidato gli stessi a un soggetto privo dei requisiti di idoneità tecnica richiesti per la loro esecuzione, che li aveva eseguiti non secondo la regola dell’arte e in modo difforme da quanto prescritto dall’art. 6 del D.M. n. 37 del 2008. Tale soggetto, infatti, non aveva i requisiti di cui all’art. 4 del citato decreto e non aveva rilasciato il certificato di conformità prescritto dall’art. 7 dello stesso decreto ministeriale.
A mezzo dei difensori di fiducia il committente ha proposto ricorso per là cassazione della sentenza di secondo grado, lamentando il vizio della motivazione e la violazione degli artt. 42, 43 e 589 del codice penale nonché degli artt. 2, 5, 8 e 10 del D.M. n. 37/2008. Il ricorrente ha osservato che l’istruttoria dibattimentale aveva attestato che l’elettricista era soggetto qualificato da un grado di esperienza tale da far ritenere che fosse sostanzialmente in possesso dei requisiti di cui all’art. 4 del D.M. n. 37 del 2008 per cui aveva richiesto alla Corte di Appello di rivalutare la sussistenza della sua colpa nella scelta dell’elettricista. La stessa si era limitata a rilevare la carenza di un dato puramente formale quale la titolarità della qualifica prevista dal citato decreto senza tenere conto della notoria qualificazione lavorativa di fatto posseduta dall’elettricista.
Il ricorrente ha aggiunto ancora che il collegamento dell’elettropompa posta all’esterno del fabbricato all’impianto elettrico dell’abitazione è escluso dal novero delle attività soggette alla disciplina prevista dal D.M. n. 37/2008 e che non sussiste, per le installazioni per apparecchi per usi domestici, l’obbligo per il committente di farsi rilasciare la dichiarazione di conformità dell’impianto o l’obbligo di acquisire tale dichiarazione prima di mettere in esercizio l’impianto né per esso era richiesta la redazione di un progetto da depositare presso lo sportello unico per l’edilizia del comune competente.
In merito all’affermazione del ricorrente secondo la quale le disposizioni del D.M. n. 37/2008 hanno una finalità di prevenzione generica ma non sono funzionali a garantire la prevenzione degli infortuni sul lavoro la suprema Corte ha fatto presente che, secondo un orientamento ormai risalente ma che merita di essere ribadito, “la terminologia adoperata negli artt. 589 e 590 c.p.,’ norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro’ è riferibile non solo alle norme inserite nelle leggi specificamente antinfortunistiche, ma anche a tutte quelle che, direttamente o indirettamente, perseguono il fine di evitare incidenti sul lavoro o malattie professionali e che, in genere, tendono a garantire la sicurezza del lavoro in relazione all’ambiente in cui esso deve svolgersi” per cui ne consegue che anche la violazione di una norma del codice della strada, come quella che riguarda anche l’obbligo della distanza di sicurezza tra i veicoli può dare luogo ad una trasgressione di un precetto antinfortunistico se questa, verificandosi in ambiente o in occasione di lavoro, integra la violazione di una misura di sicurezza atta ad evitare pregiudizi per i lavoratori e per gli altri.
Il dato di rilievo, ha così proseguito la suprema Corte, è quindi la proiezione finalistica della norma che positivizza una regola cautelare verso un rischio connesso all’attività lavorativa. Ben si comprende, quindi, come sia possibile che anche norme raccolte in testi esplicitamente destinati a disciplinare ambiti diversi dalle attività lavorative possano essere considerate come norme prevenzionistiche. Il D.M. n. 37 del 22/1/2008 reca prescrizioni che intendono garantire la sicurezza dei lavori attinenti agli impianti da esso menzionati, sia per chi attende ad essi, e quindi i lavoratori impegnati nelle attività sugli impianti, che per gli utilizzatori.
Lo stesso D.M. n. 37 del 2008 non solo contempla l’espressa previsione che l’imprenditore individuale o il legale rappresentante ovvero il responsabile tecnico da essi preposto con atto formale abbia i requisiti tecnico-professionali indicati dall’art. 4 dello stesso decreto ma prevede altresì che questi requisiti debbano essere certificati con documentazione di estremo rilievo perché è grazie ad essa che il committente può essere certo di adempiere alla previsione dell’art. 8, del decreto stesso che gli impone di affidare i lavori di installazione, di trasformazione, di ampliamento e di manutenzione straordinaria degli impianti ad imprese abilitate. In assenza di tale certificazione il committente assume consapevolmente o almeno con colpa il rischio della inadeguatezza dell’impresa esecutrice affidataria.
Che nel caso in esame de resto l’elettricista fosse realmente privo della necessaria competenza tecnica è spiegato dalle sentenze di merito non solo con il richiamo all’assenza della certificazione ma anche segnalando le gravi anomalie dell’opera realizzata, la sua non conformità alle regole dell’arte ed obiettiva pericolosità, sulla scorta di quanto riferito dal consulente tecnico del P.M..
Alla luce di tali precisazioni quindi correttamente la Corte di Appello, secondo la Sez. IV, ha potuto ritenere che il committente avesse affidato i lavori all’elettricista con colpa lungi dal poter fare affidamento sulla “fama” che aveva in paese per cui egli avrebbe dovuto pretendere che lo stesso gli documentasse il possesso dei requisiti tecnico-professionali richiesti e avrebbe dovuto accertare la sua effettiva competenza. Né può essere accettato il rilievo secondo il quale si sarebbe trattato di lavori per i quali non è prescritta la redazione di un progetto e la attestazione di collaudo perché non è stato contestato all’imputato di non aver preteso tali documenti ma piuttosto di non aver richiesto la certificazione di conformità il cui rilascio è obbligatorio.
Alla luce di quanto sopra detto in conclusione la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso e a seguito del rigetto ha condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché alla rifusione delle spese sostenute dalle parti civili che ha liquidate in 3.500 euro oltre accessori come per legge.
Gerardo Porreca
Articolo tratto da puntosicuro.it