03.04.2019
La stessa Corte suprema ha richiamato altresì la sentenza n. 2814 del 21/12/2010, Di Mascio della Sezione IV nella quale era stato sostenuto analogamente che il RSPP risponde a titolo di colpa professionale, unitamente al datore di lavoro, degli eventi dannosi derivati dai suoi suggerimenti sbagliati o dalla mancata segnalazione di situazioni di rischio, dovuti ad imperizia, negligenza, inosservanza di leggi o discipline, che abbiano indotto il datore di lavoro ad omettere l'adozione di misure prevenzionali doverose e ha richiamato ancora quanto indicato dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 38343 del 24/04/2014, P.G., R.C., Espenhahn e altri secondo la quale il RSPP, pur svolgendo all'interno della struttura aziendale un ruolo non gestionale ma di consulenza, ha l'obbligo giuridico di adempiere diligentemente l'incarico affidatogli e di collaborare con il datore di lavoro, individuando i rischi connessi all'attività lavorativa e fornendo le opportune indicazioni tecniche per risolverli, all'occorrenza disincentivando eventuali soluzioni economicamente più convenienti ma rischiose per la sicurezza dei lavoratori, con la conseguenza che, in relazione a tale suo compito, può essere chiamato a rispondere, quale garante, degli eventi che si verifichino per effetto della violazione dei suoi doveri.
Alla luce di tutti gli indirizzi sopraindicati la Corte di Cassazione, nel caso della sentenza in esame, ha ritenuta corretta l'argomentazione del Tribunale che aveva ritenuto responsabile un RSPP per avere sottovalutato un rischio che ha poi portato ad un infortunio e per non avere segnalato lo stesso al datore di lavoro onde consentirgli di eliminarlo e ha pertanto rigettato il ricorso dallo stesso presentato.
Il ricorso per cassazione e le motivazioni
Le decisioni della Corte di Cassazione
Il Tribunale ha condannato il responsabile del servizio di prevenzione e protezione ( RSPP) di una azienda alla pena di € 2.000 di multa perché ritenuto responsabile del reato di lesioni personali colpose cagionate a un lavoratore infortunatosi nello stabilimento presso il quale il RSPP stesso prestava la propria attività. Il lavoratore era stato colpito da alcune travi metalliche (lunghe m. 8,90 e dal peso di kg. 74 cadauna), cadute dalle forche di un carrello elevatore sulle quali erano state caricate, nel mentre un suo collega, alla guida del carrello stesso, stava compiendo una manovra e nell’infortunio il lavoratore aveva riportato delle lesioni alla mano sinistra dovute a schiacciamento.
Il Tribunale ha accertato la violazione della prescrizione di cui all'art. 71, commi 1 e 3, del D. Lgs. n. 81/2008, per non avere il datore di lavoro messo a disposizione dei lavoratori un'attrezzatura di lavoro adeguata al lavoro da svolgere, visto che il carrello elevatore utilizzato era inadeguato e privo di misure di sicurezza per il tipo di travi movimentate: essendo la larghezza massima delle forche pari a 78 cm, a fronte di travi lunghe 8,90 m per cui l’uso del carrello elevatore non poteva garantire la loro stabilità le quali erano scivolate in quanto non perfettamente bilanciate. Il datore di lavoro si era successivamente dotato di un accessorio specifico per il sollevamento di barre di acciaio con portata di 2000 kg.
Il Tribunale aveva addebitato al Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione di non avere indicato nel documento di valutazione dei rischi (DVR) tutti gli elementi di rischio per ciascuna attrezzatura. Lo stesso avrebbe dovuto segnalare infatti «che laddove ci si trovi in presenza di travi di una lunghezza piuttosto che un'altra, si doveva usare un carrello piuttosto che un altro e, nel caso specifico, che il carrello utilizzato non era adeguato ai movimento di travi di quella lunghezza se non con l'utilizzo di elementi aggiuntivi quale la forca di sollevamento successivamente acquistata dall'azienda».
L’imputato, attraverso il proprio difensore ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza del Tribunale adducendo delle motivazioni. Come principale motivo lo stesso ha sostenuto che il RSPP non può rivestire una posizione di garanzia nella misura in cui la stessa non è prevista dalla legge essendo i destinatari delle norme antinfortunistiche i datori di lavoro, i dirigenti, i preposti e i lavoratori per cui lo stesso non ha assunto alcuna posizione di garanzia essendo privo di poteri gestionali né potendo mai sostituirsi al datore di lavoro negli obblighi prevenzionistici posti a suo carico.
Secondo il ricorrente, inoltre, come seconda motivazione, il giudice ha omesso di valutare l'assorbenza del comportamento del lavoratore nel nesso di causa che ha condotto all'evento lesivo. E’ risultato infatti che le travi sono scivolate in avanti e sono cadute solo quelle legate con nastro adesivo mentre, per le modalità corrette di imbracatura, era previsto l’uso di catene, funi e brache per cui il lavoratore aveva, di fatto, rimosso il presidio di sicurezza previsto, costituendo tale comportamento causa assorbente e costitutiva del rischio per come attualizzatosi.
La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso dell’imputato. Con riferimento al primo motivo di ricorso, riguardante la posizione del RSPP con riferimento agli obblighi di sicurezza sul lavoro, la suprema Corte ha precisato che “la più avveduta giurisprudenza della Corte regolatrice ritiene ormai pacificamente configurabile, nella materia della prevenzione degli infortuni sul lavoro, la colpa professionale specifica del RSPP - in cooperazione con quella del datore di lavoro - ogni qual volta l'infortunio sia oggettivamente riconducibile ad una situazione pericolosa che egli avrebbe avuto l'obbligo di conoscere e segnalare”. “Al riguardo è stato più volte ribadito”, ha così proseguito la Sez. IV, “che il RSPP risponde a titolo di colpa professionale, unitamente al datore di lavoro, degli eventi dannosi derivati dai suoi suggerimenti sbagliati o dalla mancata segnalazione di situazioni di rischio, dovuti ad imperizia, negligenza, inosservanza di leggi o discipline, che abbiano indotto il secondo ad omettere l'adozione di misure prevenzionali doverose”. “Ciò sul presupposto che tale figura, pur svolgendo all'interno della struttura aziendale un ruolo non gestionale ma di consulenza, ha l'obbligo giuridico di adempiere diligentemente l'incarico affidatogli e di collaborare con il datore di lavoro, individuando i rischi connessi all'attività lavorativa e fornendo le opportune indicazioni tecniche per risolverli, all'occorrenza disincentivando eventuali soluzioni economicamente più convenienti ma rischiose per la sicurezza dei lavoratori, con la conseguenza che, in relazione a tale suo compito, può essere chiamato a rispondere, quale garante, degli eventi che si verifichino per effetto della violazione dei suoi doveri”.
La Corte di Cassazione ha quindi ritenuta corretta in diritto l'argomentazione del Tribunale, il quale aveva individuato la posizione di responsabilità del RSPP nella sostanziale sottovalutazione del rischio riconducibile all'utilizzo di un carrello elevatore inadeguato per la movimentazione di travi aventi lunghezza eccessiva rispetto alla larghezza della forca di sollevamento utilizzata. In tal senso la violazione dei doveri di prevenzione e di informazione facenti carico al RSPP è stata ricollegata alla omessa indicazione al datore di lavoro delle specifiche misure prevenzionali da adottare in relazione alla lavorazione in questione, stante la palese inadeguatezza del macchinario utilizzato e la semplice risoluzione del problema mediante l'utilizzo di elementi aggiuntivi quale la forca di sollevamento successivamente acquistata dall'azienda. E' stato quindi razionalmente considerato, ha precisato la Sez. IV, che il RSPP si era reso corresponsabile con il datore di lavoro della violazione della normativa prevenzionistica che imponeva di rendere conforme il carrello elevatore ai requisiti di sicurezza, e che tale inadempimento aveva concretizzato proprio il rischio che la misura prevenzionistica omessa avrebbe dovuto impedire.
Anche il secondo motivo è stato ritenuto infondato dalla Corte di Cassazione. La stessa ha ricordato che il comportamento colposo del lavoratore non interrompe, di per sé, il nesso causale ove sia accertato che la condotta omissiva colposa del prevenuto abbia comunque contribuito alla concretizzazione del rischio che si sarebbe potuto evitare mediante l'adozione della misura prevenzionistica omessa.
Ebbene, ha così concluso la suprema Corte, nel caso in esame il Tribunale ha congruamente e logicamente individuata la misura prevenzionistica che avrebbe ragionevolmente impedito l'evento, vale a dire l'adozione di una forca avente larghezza adeguata al fine di consentire il corretto bilanciamento delle travi sollevate dal carrello elevatore, onde impedirne la caduta. Ne deriva che l'utilizzo da parte del lavoratore di nastro isolante (in luogo delle previste catene o funi) per l'imbracatura delle putrelle non avrebbe mai potuto costituire causa assorbente dell'infortunio, essendo stato accertato, con motivazione congrua e non manifestamente illogica, che nel caso concreto il presidio di sicurezza corretto avrebbe dovuto essere costituito (anche e soprattutto) da un carrello elevatore munito di forche di larghezza adeguata, la cui mancanza ha avuto incidenza causale prevalente rispetto all'evento lesivo in disamina.
Gerardo Porreca