11.03.2019
Nel caso di cui alla sentenza in commento un lavoratore che si era offerto per collaborare gratuitamente nei lavori di pitturazione è caduto da una scala alta più di tre metri e dell’accaduto è stato ritenuto responsabile il parroco per avere impiegato lo stesso in mansioni lavorative senza il rispetto delle norme prevenzionistiche riguardanti i lavori da eseguire in quota di cui all’art. 107 del D. Lgs. n. 81/2008 e s.m.i. Anche questa volta la Corte suprema non ha perso l’occasione, come fa periodicamente, di dare una nozione di lavori in quota che si ritiene errata o quantomeno non in linea con le disposizioni di legge in materia di salute e di sicurezza sul lavoro vigenti, affermando che, ai fini dell’applicazione delle prescrizioni di sicurezza contro il rischio di caduta dall’alto rileva l’altezza alla quale si stanno svolgendo i lavori rispetto al terreno e non quella del piano di calpestio del lavoratore rispetto allo stesso. Lo aveva già fatto in occasione della sentenza n. 39104 del 29/8/2018 Sez. IV, pubblicata e commentata nell’articolo “ Sul rischio di caduta dall'alto e sulla definizione di lavori in quota”, della sentenza n. 42261 del 15/9/2017 Sez. IV, nell’articolo “ Sul rischio di caduta dall'alto e sulla definizione di lavori in quota”, e della sentenza n. 39024 del 20/9/2016 Sez. IV nell’articolo “ La nozione di lavori in quota e la protezione dal rischio caduta dall'alto”. Sull’argomento lo scrivente ha curato anche l’approfondimento “ Gli obblighi per il rischio di caduta nei lavori in quota e sottoquota”.
Un parroco ha ricorso avverso la sentenza con la quale la Corte di Appello aveva parzialmente riformato quoad poenam, confermandola nel resto, la condanna emessa a suo carico dal Tribunale per il delitto di lesioni personali colpose, con violazione della normativa antinfortunistica, in danno di un lavoratore che aveva dato la sua disponibilità a eseguire gratuitamente lavori di pitturazione dell'interno della sua chiesa e che si era infortunato cadendo nel mentre utilizzava una scala di circa tre metri.
Al parroco era stato contestato di avere impiegato il lavoratore in mansioni lavorative senza il rispetto delle regole cautelari e delle norme prevenzionistiche con riferimento all'art. 2087 cod.civ. e all’art. 107 del D. Lgs. n. 81/2008 che disciplina la sicurezza dei lavori in quota.
Il ricorso del parroco é stato affidato a un unico motivo di lagnanza, nel quale lo stesso ha dedotto un vizio di motivazione in relazione alla riconducibilità a lui del fatto accaduto. Ha sostenuto infatti di non essere stato lui a conferire l’incarico al lavoratore contestando altresì che la caduta non fosse avvenuta da un'altezza di tre metri, atteso che essendo la porzione di muro già pitturata al momento del fatto posizionata a m 2,50-3,00, il lavoratore non si trovasse a un'altezza superiore ai due metri. Lo stesso era infatti sicuramente ad altezza inferiore a quella ove vi erano le tracce di pittura tenuto conto del fatto che chi dipinge una parete si trova al di sotto del pennello che utilizza.
Il ricorso é stato ritenuto inammissibile dalla Corte di Cassazione. Con riferimento alla esecuzione della pitturazione ad altezza superiore ai due metri (desunta, secondo la sentenza impugnata, dal fatto che la porzione di muro pitturata era a circa tre metri di quota e che il lavoratore era sicuramente caduto dalla scala, alta a sua volta tre metri), la Corte di Cassazione ha ricordato che, in base alla normativa prevenzionistica, l'altezza superiore ai due metri dal suolo va calcolata in riferimento all'altezza alla quale il lavoro viene eseguito rispetto al terreno sottostante e non al piano di calpestio del lavoratore.
Quanto poi al fatto che l'incarico di procedere alla pitturazione non sarebbe stato conferito dal parroco, la Corte suprema ha messo in evidenza che dagli accertamenti era risultato che il lavoratore infortunato aveva preso accordi con il parroco stesso per l'esecuzione dei lavori precisando che lo stesso, disponendo del luogo ove si svolgevano i lavori di pitturazione, era certamente titolare di una posizione di garanzia nei riguardi dei due soggetti impegnati nella pitturazione dell'interno della chiesa. E’ noto, infatti, ha aggiunto la Sez. IV, che, “poiché il parroco ha la direzione delle attività della parrocchia, egli assume una posizione di garanzia nei confronti di chi presti, anche occasionalmente e su base volontaria, il proprio lavoro al suo interno, rispondendo pertanto delle eventuali lesioni personali cagionate dall'omessa adozione delle misure necessarie a prevenire gli infortuni sul lavoro”.
E’ risultato, inoltre, ha così proseguito la Corte suprema, che, quand'anche il parroco non avesse personalmente conferito l'incarico al lavoratore, lo stesso era al corrente del fatto che presso la chiesa il lavoratore stesse svolgendo lavori di pitturazione delle pareti interne in quota, con l'impiego tra l'altro di una scala, e che ciò comportava all'evidenza un rischio di caduta, poi concretizzatosi, e che, nella ridetta qualità, aveva quanto meno autorizzato o permesso detti lavori, dei quali, del resto, era beneficiario. Lo stesso quindi aveva sicuramente il potere, oltreché il dovere, di fare in modo che gli stessi si svolgessero in sicurezza, assumendo al riguardo, rispetto ai due prestatori d'opera, una posizione di garanzia assimilabile a quella datoriale.
Considerata quindi l'inammissibilità del ricorso, la Corte di Cassazione ha condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali e alla somma di 2.000 euro in favore della Cassa delle ammende e lo ha condannato inoltre alla rifusione delle spese sostenute nel giudizio di legittimità dalla parte civile che ha liquidato in 2.500,00 euro, oltre accessori come per legge.
Gerardo Porreca