19.11.2018
Il RSPP è un consulente del datore di lavoro, come più volte ha sostenuto la suprema Corte, chiamato indelegabilmente a collaborare con lo stesso nella individuazione dei rischi connessi alle attività lavorative svolte in azienda ed a fornire le opportune indicazioni tecniche per eliminarli o ridurli al minimo. Più volte è stato chiamato anche a rispondere in concorso con il datore di lavoro per non avere segnalato delle carenze di sicurezza che hanno poi portato a degli infortuni sul lavoro in azienda. Comunque la nomina del RSPP, ha ribadito la suprema Corte in questa sentenza, non determina una delega effettiva delle funzioni e, quindi, non è sufficiente a sollevare comunque il datore di lavoro e i dirigenti dalle rispettive responsabilità per la violazione degli obblighi di sicurezza sul lavoro e per eventuali infortuni che dovessero derivare dalle stesse. E’ alla luce di tale principio generale che la suprema Corte ha quindi dichiarato inammissibile il ricorso avanzato da un datore di lavoro che aveva chiesto l’annullamento della sentenza del Tribunale con la quale era stato condannato e che aveva basata la sua richiesta sul fatto di avere nominato un RSPP esperto, capace e dotato di tutti i requisiti richiesti dalle norme di sicurezza.
Il caso, il ricorso in cassazione e le motivazioni
Il Tribunale ha condannato il datore di lavoro di una azienda alla pena di € 4.000,00 di ammenda relativamente ai reati di cui agli art. 181, comma 2, e 219, comma 1, sub a, del D. Lgs. n. 81/2008, 168, comma 2, e 170, comma 1, sub a, del D. Lgs. n. 81/2008. L’imputato ha proposto ricorso per cassazione, adducendo alcune motivazioni. Lo stesso ha sostenuto che il Tribunale si era limitato a richiamare i principi relativi alla nomina del responsabile della sicurezza, senza analizzare, in concreto, la sussistenza dell'elemento psicologico del reato posto a suo carico. L'imputazione infatti gli aveva addebitato il mancato aggiornamento della valutazione dei rischi vibrazione, nonché la non congruità della valutazione dei rischi relativi alla movimentazione manuale dei carichi. Lo stesso, sottolineando che aveva nominato un responsabile del servizio di prevenzione e protezione, dotato di ampie e comprovate competenze in materia, ha sostenuto che il datore di lavoro non può adempiere da solo ai compiti in oggetto, in quanto non munito della richiesta preparazione specifica, e quindi si deve affidare ad un esperto così come aveva fatto nel caso in esame.
L’imputato quindi, mancando nella sua condotta l'elemento soggettivo del reato per avere semplicemente recepito le elaborazioni del responsabile del servizio di prevenzione e protezione e non dovendo scontare la non completa diligenza del professionista incaricato, individuato, peraltro, senza alcuna culpa in eligendo essendo lo stesso dotato di adeguati titoli professionali, ha chiesto alla Corte di Cassazione l'annullamento della sentenza impugnata.
Le decisioni in diritto della Corte di Cassazione
Il ricorso è stato dalla Corte di Cassazione dichiarato inammissibile per manifesta infondatezza del motivo oltre che estremamente generico, limitandosi a sostenere che la mera nomina, del responsabile del servizio di prevenzione e protezione, escluderebbe l'elemento soggettivo. La stessa Corte ha sottolineato come la sentenza impugnata aveva applicato correttamente la giurisprudenza di legittimità avendo sostenuto che la nomina del responsabile del servizio di prevenzione e protezione non esonera il datore di lavoro dagli obblighi dettati per la prevenzione degli infortuni sul lavoro. La giurisprudenza della Corte di Cassazione, infatti, sul punto è costante nel sostenere che il responsabile del servizio di prevenzione e protezione svolge un ruolo di consulente in materia antinfortunistica del datore di lavoro ed è privo di effettivo potere decisionale e nel ritenere inidonea la nomina del responsabile, del servizio di prevenzione e protezione, ad escludere la responsabilità del datore di lavoro.
“La mera designazione del responsabile del servizio di prevenzione e protezione”, ha così concluso la suprema Corte, “non costituisce una delega di funzioni e non è dunque sufficiente a sollevare il datore di lavoro ed i dirigenti dalle rispettive responsabilità in tema di violazione degli obblighi dettati per la prevenzione degli infortuni sul lavoro”. In conseguenza quindi dell’inammissibilità del ricorso ha condannato il ricorrente al pagamento della somma di 2.000 € in favore della Cassa delle ammende e delle spese del procedimento.
Gerardo Porreca