14.05.2018
Nel corso dei precedenti gradi di giudizio il Tribunale aveva assolto il datore di lavoro che non operava direttamente nella cava con una sentenza che la Corte di Appello ha ribaltata in quanto ha considerato comunque gravante sullo stesso l’onere di garantire la sicurezza dei lavoratori, anche in presenza in cantiere dell’altro datore di lavoro con funzioni di responsabile della cava. Sul ricorso presentato dal datore di lavoro condannato dalla Corte di Appello la Cassazione infine, illustrando dettagliatamente le motivazioni, ha annullata senza rinvio la sentenza della Corte territoriale per non avere l’imputato commesso il fatto.
La suprema Corte, infatti, evidenziando la diversa condotta dei due datori di lavoro, per così dire “equiordinati", e giudicando “dinamica” la posizione di garanzia del datore di lavoro sorvegliante di cava rispetto a quella più “statica” dell’altro datore di lavoro, ha sostenuto, nel prendere le sue decisioni, che la condotta del datore di lavoro sorvegliante di cava era stata talmente grave e imprudente, per avere lo stesso impartito in cantiere ordini la cui esecuzione ha contribuito al verificarsi dell’evento infortunistico, da interrompere ogni nesso di causalità rispetto alla posizione di garanzia del co-datore di lavoro estraneo ai lavori di cantiere.
All'esito delle indagini preliminari scaturite da un infortunio sul lavoro nel quale un lavoratore dipendente aveva perso la vita ed un altro aveva subito delle lievi ferite, infortunio accaduto mentre entrambi stavano lavorando all'interno di una cava, il Pubblico Ministero ha esercitato l'azione penale nei confronti di due legali rappresentanti della società che gestiva la cava e del direttore dei lavori della società stessa.
Al primo dei legali rappresentanti, che rivestiva la funzione di responsabile di cava, era stato addebitato, quale anche autore materiale del fatto, di avere provocato la morte del lavoratore e il ferimento dell’altro per colpa sia generica che specifica, in quanto, essendo in corso una attività di movimentazione di massi, al fine di creare un terrapieno funzionale alla successiva attività di estrazione di roccia, lo stesso (responsabilità omissiva) aveva omesso di segnalare adeguatamente l'area di cava in cui venivano gettati i massi, aveva omesso di adottare le misure affinché i lavoratori non autorizzati accedessero alle aree pericolose, aveva omesso di adottare le misure necessarie affinché gli operai autorizzati all'accesso a tali aree fossero protetti, aveva omesso di progettare, costruire, organizzare e gestire l'area in modo da garantirne la stabilità e da salvaguardarne la sicurezza dei lavoratori ed inoltre (responsabilità commissiva) aveva direttamente disposto che i lavoratori la mattina dell’infortunio si recassero sul fondo della cava per riparare un mezzo meccanico che era ivi fermo da giorni perché in avaria. Mentre appunto i due si trovavano sul fondo della cava, il datore di lavoro, manovrando personalmente una pala gommata e prelevando massi dal fondo della cava e trasportandoli nella parte superiore al fine di creare un terrapieno, aveva provocata incautamente la caduta di un masso che, rotolando verso il fondo della cava trascinando altre pietre, aveva cagionato l’evento infortunistico. Un masso pesante 2.700 chilogrammi, infatti, dopo avere urtato il braccio del mezzo che l'operaio stava riparando, aveva colpito al capo uno dei lavoratori, provocandone la morte immediata e, nel contempo, un frammento di roccia aveva colpito al capo l’altro lavoratore che non indossava l'elmetto, provocando allo stesso una ferita guaribile in dieci giorni.
All’altro legale rappresentante, che rivestiva anche la funzione di RSPP, il P.M. aveva contestato di avere contribuito colposamente a provocare la morte e il ferimento dei due lavoratori per colpa sia generica che specifica, in quanto, essendo in corso, come già detto, l’attività di movimentazione di massi al fine di creare un terrapieno funzionale alla successiva attività di estrazione di roccia, aveva omesso di segnalare adeguatamente l'area di cava in cui venivano gettati i massi, aveva omesso di adottare le misure affinché i lavoratori non autorizzati accedessero alle aree pericolose, aveva omesso di adottare le misure necessario affinché gli operai autorizzati all'accesso a tali aree fossero protetti e aveva omesso di progettare, costruire, organizzare e gestire l'area in modo da garantirne la stabilità e da salvaguardarne la sicurezza dei lavoratori, tutti profili di colpa omissiva identici a quelli contestati all’altro legale rappresentante responsabile di cava.
Al direttore dei lavori era stato, invece, addebitato di avere omesso di dare attuazione a quanto previsto dal "documento coordinato di salute e sicurezza" a proposito delle precauzioni da adottare quando vengono gettati massi dai piazzali e di assicurare che le aree di stoccaggio dei materiali fossero adeguatamente individuate e poste in zone piane e con stabilità geologica onde evitare scivolamenti o rotolamenti dei blocchi.
Mentre la posizione del legale rappresentante sorvegliante di cava era stata definita dal G.u.p. del Tribunale con sentenza di applicazione di pena ex art. 444 cod. proc. pen., l’altro legale rappresentante RSPP e il direttore dei lavori, all'esito del giudizio abbreviato, erano stati assolti del Tribunale di Trieste, per non avere commesso il fatto.
In sintesi, il Giudice di primo grado aveva ritenuto che la responsabilità dell'accaduto fosse tutta in capo al sorvegliante di cava che aveva materialmente provocato la caduta del pesante masso e che aveva assegnato i vari lavori alle persone che lavoravano nella cava. Quanto alla posizione dell’altro legale rappresentante RSPP il Giudice aveva ritenuto non influenti in concreto le violazioni pur allo stesso riconducibili e che le sue eventuali azioni non potessero comunque prevalere sugli ordini giornalieri e puntuali impartiti dal suo co-amministratore che, quale sorvegliante di gara, dava ordini che gli operai non avrebbero potuto disattendere.
Presentato appello da parte del Procuratore generale, la Corte di appello, nel confermare l'assoluzione del direttore dei lavori ha, invece, ribaltato la decisione di primo grado per quanto riguarda il legale rappresentante RSPPsostenendo che su entrambi i datori di lavoro gravava l'onere di garantire la sicurezza dei lavoratori e che le decisioni operative di uno di essi non poteva interrompere il nesso causale tra la condotta omissiva dell'altro datore di lavoro e l'evento. In sostanza, secondo la Corte di Appello, il datore di lavoro RSPP avrebbe dovuto autonomamente prevenire le situazioni di pericolo anche se causate dall'altro datore di lavoro.
Ha ricorso in cassazione il legale rappresentante RSPP adducendo alcune motivazioni. Lo stesso si è lamentato per il fatto che la Corte territoriale, partendo dalla stessa identica ricostruzione fattuale del Giudice di primo grado, era giunta a conclusioni opposte, senza tuttavia adeguatamente spiegare perché la responsabilità del sorvegliante di cava non fosse da ritenersi in concreto assorbente ed interruttiva del nesso causale rispetto alla sua posizione né aveva spiegato come l'apposizione di una cartellonistica da parte sua, ad esempio, avrebbe potuto prevalere rispetto all'ordine impartito agli operai dall'altro datore di lavoro.
Il ricorso presentato dal datore di lavoro RSPP è stato ritenuto dalla Corte di Cassazione fondato e meritevole pertanto di accoglimento.
La Corte di appello, secondo la suprema Corte, non aveva ritenuto, a differenza del G.u.p., che il nesso causale fosse stato interrotto dall'ordine impartito da uno dei due datori di lavoro (per così dire "equiordinati") ai dipendenti di lavorare in basso mentre in contemporanea, più in alto, lo stesso datore di lavoro, avente la qualifica di sorvegliante di cava, spostava pericolosamente pesanti massi, uno dei quali era precipitato sugli operai. Tale conclusione non è stata però ritenuta esatta dalla Corte di Cassazione in quanto quella territoriale aveva trascurato che “la sconsiderata condotta del datore di lavoro che ha, peraltro in maniera del tutto estemporanea, impartito l'ordine agli infortunati di lavorare sul fondo della cava mentre il medesimo movimentava pesantissimi massi in posizione sopraelevata rispetto ai due sciagurati operai è, in realtà, talmente grave ed imprudente da avere interrotto ogni nesso di causalità rispetto alla posizione dell’altro datore di lavoro”.
In altre parole, ha così concluso la suprema Corte, il datore di lavoro responsabile della cava con la descritta condotta, aveva assunta in proprio la posizione di garanzia, provocando così l'affievolimento e non già il rafforzamento, come invece illogicamente sostenuto nella sentenza impugnata, della posizione di garanzia dell'altro datore di lavoro astrattamente equiordinato. Nel concreto contesto ricostruito dai Giudici di merito, inoltre, non avevano hanno avuto peraltro rilevanza, sotto il profilo della efficacia impediente, eventuali prescrizioni di sicurezza, quali cartelli che facessero divieto di accedere al fondo della cava o che impartissero, in caso di accesso, eventuali prescrizioni, in quanto i divieti e le prescrizioni sarebbero stati, in ogni caso, inefficaci o comunque subvalenti rispetto all'ordine puntuale che il responsabile di cava aveva impartìto alle persone offese di recarsi sul fondo della cava a lavorare mentre egli armeggiava pericolosamente proprio sulla loro verticale.
Alla luce delle considerazioni appena svolte la Corte di Cassazione ha annullata senza rinvio la sentenza impugnata per non avere l'imputato commesso il fatto.
Gerardo Porreca