I datori di lavoro devono sottoporre i lavoratori alla vaccinazione contro il Covid-19? La risposta al quesito è fornita dal Testo unico della sicurezza sul lavoro che impone all’azienda, su conforme parere del medico competente, la messa a disposizione di vaccini efficaci per i lavoratori non immuni all’agente biologico presente nella lavorazione (nel caso di specie, il SARSCoV-2 classificato come agente patogeno per l’uomo del gruppo di rischio 3) e da somministrare a cura del medico competente stesso. Cosa fare in caso di lavoratori che non possono o che si rifiutano di vaccinarsi ovvero per i terzi che si trovino nell’ambiente di lavoro?
I datori di lavoro hanno la facoltà o addirittura l’obbligo di sottoporre i lavoratori alla vaccinazione contro il Covid-19?
Se si pensa di poter disporre soltanto del generico
art. 2087 c.c., la risposta non può che essere no. Ma non si dimentichi che, malgrado l’emergenza sanitaria, volenti o no, dobbiamo fare i conti con il
Testo unico della sicurezza sul lavoro (TUSL). Né si dimentichi che occorre prendere in esame l’intero TUSL, e non qualche suo disposto scelto a caso. Altrimenti, si rischia di non accorgersi che il TUSL, all’art. 279 - da leggere ormai alla luce di quella Direttiva (UE) 2020/739 del 3 giugno 2020, già recepita dagli artt. 4, D.L. 7 ottobre 2020, n. 125 come convertito dalla
legge 27 novembre 2020, n. 159 e 17, D.L. 9 novembre 2020 n. 149 inserito nell’art. 13-sexiesdecies del decreto Ristori (D.L. 28 ottobre 2020, N. 137 come convertito dalla
legge 18 dicembre 2020 n. 176), che classifica la
SARSCoV-2 come
patogeno per l’uomo del
gruppo di rischio 3 - impone nel comma 2 al datore di lavoro, su conforme parere del medico competente, la messa a disposizione di
vaccini efficaci per quei lavoratori che non sono già immuni all’agente biologico presente nella lavorazione, da
somministrare a cura del medico competente.
Vaccinazione del lavoratore e obblighi del datore di lavoro
Certo, la “messa a disposizione” del vaccino contro il Covid-19 non vale di per sé sola a rendere obbligatoria per i lavoratori la sottoposizione a tale vaccino. Ma attenzione: lo stesso art. 279, comma 2, non si limita a prescrivere “la messa a disposizione di vaccini efficaci”, ma impone, altresì, “l'allontanamento temporaneo del lavoratore secondo le procedure dell'articolo 42”. E l’art. 42 stabilisce che il datore di lavoro attua le misure indicate dal medico competente e qualora le stesse prevedano un’inidoneità alla mansione specifica adibisce il lavoratore, ove possibile, a mansioni equivalenti o, in difetto, a mansioni inferiori garantendo il trattamento corrispondente alle mansioni di provenienza.
E come può il medico competente esimersi dall’esprimere un giudizio di inidoneità in un’ipotesi in cui il datore di lavoro, proprio su conforme parere del medico competente, abbia messo a disposizione il vaccino, rifiutato dal lavoratore? A maggior ragione, in un mondo in cui assistiamo alla transizione da una sorveglianza sanitaria diretta a proteggere il singolo lavoratore visitato a una sorveglianza sanitaria che amplia le sue finalità alla tutela dei terzi, ivi incluse le altre persone presenti, lavoratori e no, evocate in più norme del TUSL a partire dall’art. 20, comma 1, D.Lgs. n. 81/2008. In una prospettiva segnata nelle insistite parole della Corte Costituzionale dall’obiettivo di “garantire e tutelare la salute (anche) collettiva attraverso il raggiungimento della massima copertura vaccinale”.
Né si comprende come dal suo canto possa il datore di lavoro trascurare i doveri stabiliti nell’art. 18, comma 1, lettere g) e bb), D.Lgs. n. 81/2008 di vigilare sul rispetto degli obblighi del medico competente e di adibire i lavoratori alla mansione soltanto se muniti del giudizio di idoneità, e più in generale il dovere imposto dall’art. 18, comma 1, lettera c), D.Lgs. n. 81/2008 di tenere conto, nell'affidare i compiti ai lavoratori, “delle capacità e delle condizioni degli stessi in rapporto alla loro salute e sicurezza”.
E s’intende che, ove l’inosservanza di tali obblighi sia causa di un’infezione da Covid-19, può sorgere a carico del datore di lavoro come del medico competente l’addebito di omicidio colposo o lesione personale colposa.
Ricollocazione del lavoratore che non può vaccinarsi
Pesa, naturalmente, il fatto che il lavoratore allontanato è adibito ad altra mansione, ove possibile. E da anni la Cassazione dice che l’obbligo di “repechage” non può ritenersi violato quando l’ipotetica possibilità di ricollocazione del lavoratore nella compagine aziendale non è compatibile con il concreto assetto organizzativo stabilito dalla parte datoriale. Ma in questo alveo non è da escludere aprioristicamente un’alternativa quale l’adozione di misure tecniche, organizzative, procedurali contro il rischio coronavirus da indicare nel DVR a tutela dei lavoratori, primi fa tutti quei soggetti che abbiano controindicazioni al vaccino anti Covid-19 quali quelle evocate dall’AIFA nel documento del 23 dicembre 2020 sulla “Vaccinazione anti COVID-19 con vaccino Pfizer FAQ AIFA”. Né si trascuri che, fino alla cessazione dello stato di emergenza epidemiologica da COVID-19, il decreto Rilancio (decreto legge n. 34/2020) riconosce ai lavoratori fragili il diritto allo smart working.
Attività a tutela dei terzi che si trovino nell’ambiente di lavoro
Un’ulteriore, attualissima, notazione, relativa ai luoghi di lavoro privati e pubblici contraddistinti dalla presenza continuativa di persone non riconducibili nel novero dei “lavoratori” così come definiti dall’art. 2, comma 1, lettera a), D.Lgs. n. 81/2008: paradigmatici gli ospiti di una casa di riposo. Una presenza che impone al datore di lavoro di condurre un’adeguata valutazione del rischio conseguente per i propri lavoratori e di individuare le misure di prevenzione e di protezione contro tale rischio, e, tra queste misure, non solo la vaccinazione degli stessi lavoratori, ma altresì la vaccinazione delle “altre persone”. Con un’avvertenza. È noto il principio tradizionalmente accolto in giurisprudenza per cui le norme antinfortunistiche sono dettate non soltanto per la tutela dei lavoratori nell’esercizio della loro attività, ma anche a tutela dei terzi che si trovino nell’ambiente di lavoro, indipendentemente dall’esistenza di un rapporto di dipendenza con il titolare dell’impresa. Un principio, peraltro, che non conduce certo a porre a carico del datore di lavoro un obbligo di sorveglianza sanitaria sui terzi.
Efficace è sul punto il distinguo operato da Cass. 9 ottobre 2015 n. 40721: da un lato, le misure di carattere oggettivo non riferite a un particolare destinatario (ad es., i requisiti previsti per le attrezzature di lavoro); dall’altro, le misure indirizzate ad una specifica tipologia di soggetti, quale la sorveglianza sanitaria posta a beneficio del lavoratore inteso in senso formale e sostanziale. Con la conseguenza che, nel quadro di un’adeguata elaborazione del DVR, si rende, altresì, necessaria la segnalazione dell’esigenza di attivare la vaccinazione delle persone non riconducibili nell’ambito dei lavoratori, ma presenti nei luoghi di lavoro e magari da assistere in quanto prive in tutto od in parte di autonomia.
Non diversamente, in tutt’altro contesto, a norma dell’art. 26 D.Lgs. n. 81/2008, il datore di lavoro che affidi a un’impresa appaltatrice o a un lavoratore autonomo l’esecuzione di un lavoro o di un servizio o di una fornitura nel proprio ambito aziendale, è tenuto, non certo a sottoporre i dipendenti dell’impresa appaltatrice o il lavoratore autonomo a sorveglianza sanitaria e segnatamente a vaccinazione, ma a elaborare il DUVRI contenente le misure contro i rischi da interferenze (ivi inclusa la vaccinazione) e a vigilare sull’effettiva osservanza di tali misure da parte dell’impresa appaltatrice o del lavoratore autonomo.
In conclusione
Più che mai, dunque, anche sotto la spinta di istruttive esperienze giudiziarie quali quelle condotte proprio nel nostro Paese su farmaci e vaccini, si rende necessario rilevare come sapientemente l’art. 279, comma 2, D.Lgs. n. 81/2008 ponga in rilievo il ruolo determinante del medico competente, e faccia esplicito riferimento a vaccini “efficaci”, e, dunque, a vaccini sottoposti alla responsabile valutazione delle autorità sanitarie pubbliche competenti circa l’affidabilità medico-scientifica della loro somministrazione.
Articolo tratto da ipsoa.it